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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2012 alle ore 06:40.

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Il veto era nell'aria, anzi era del tutto prevedibile. Ma per i Paesi occidentali che da tempo chiedono le dimissioni del presidente siriano Bashar al-Assad, in testa Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, e che puntavano ieri a un deciso rafforzamento delle sanzioni contro il regime, si tratta comunque di un boccone amaro. La riunione del consiglio di Sicurezza dell'Onu si è risolta in un nulla di fatto. Per la terza volta in dieci mesi, Mosca e Pechino hanno detto no, bloccando così, nonostante 11 voti a favore, la risoluzione che deve rinnovare la missione di osservazione sul cessate il fuoco in Siria, in scadenza oggi.
Un veto pesante, definito dalla Casa Bianca «deplorevole e spiacevole». «Il Consiglio di sicurezza ha totalmente fallito», ha commentato l'ambasciatore americano all'Onu, Susan Rice. Le ha fatto eco il ministro britannico degli Esteri, William Hague, parlando di azioni «non scusabili e indifendibili». Mosca, attraverso il suo ambasciatore all'Onu, Vitaly Churkin, ha definito i commenti di Londra e Washington «inaccettabili». Secondo Churkin, il testo apriva la porta a un intervento militare ed era unilaterale, minacciando sanzioni soltanto nei confronti del Governo di Damasco, e non verso l'opposizione.
Ma l'offensiva diplomatica è continuata. Già ieri pomeriggio la Gran Bretagna ha messo a punto una nuova bozza di risoluzione chiedendo di rinnovare per altri 30 giorni la missione di monitoraggio dell'Onu in Siria (che scade oggi). Bozza che terrebbe in considerazione le indicazioni del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon. Ma che stride con quanto affermato dalla Casa Bianca («non si può andare avanti con la missione»).
Sconsolato Ban Ki-moon ha dichiarato: la paralisi del Consiglio di sicurezza equivale a «un permesso al massacro». I Paesi occidentali non intendono comunque cancellare dal testo il riferimento al capitolo 7 della Carta Onu. Quello che non esclude, in casi precisi, un intervento armato. Mosca e Pechino, sono contrarie a citare questo capitolo.
Il conflitto sul campo sta toccando livelli di intensità e di violenza che non si erano mai visti da quando è scoppiata la rivolta, 16 mesi fa. Per il quarto giorno a Damasco sono continuati i combattimenti. L'offensiva ha portato gli oppositori vicino alla Tv di Stato e al quartier generale della polizia, che sarebbe stato preso d'assalto. L'esercito ha reagito con estrema durezza e violenza, facendo ricorso agli elicotteri da guerra (alcuni testimoni hanno parlato anche di bombe a grappolo), schierando i carri armati e colpendo con l'artiglieria pesante i quartieri dove si sono asserragliati i ribelli. Tra le aree più colpite ci sarebbero l'aeroporto militare di Mezzeh, i quartieri di Kafar Sousse, Midan, Qabun, Zahira, Hajeera, Abu Rummaneh. Una battaglia che solo mercoledì, ha denunciato l'Osservatorio siriano per i diritti dell'uomo, avrebbe fatto oltre 200 vittime, la maggior parte civili, e ieri altri 90.
Galvanizzati dall'offensiva nella capitale, i ribelli stanno cercando di forzare i valichi di confine con Turchia e Iraq. Il Governo di Baghdad ha fatto sapere che tutti i valichi di frontiera tra Siria e Iraq sarebbero ora nelle mani dei ribelli. Quanto alla Turchia, ieri pomeriggio, dopo una lunga battaglia, gli insorti avrebbero preso il controllo di Bab al-Hawa, strategico valico commerciale di frontiera che si affaccia sulla provincia turca di Hatay. Secondo altre fonti, invece, avrebbero ripiegato.
Il mondo ora si chiede dove si trovino il presidente Bashar al-Assad e sua moglie Asma. Secondo il quotidiano britannico Guardian, dopo l'attentato di mercoledì - in cui sono morti alcuni dei più importanti capi della sicurezza del regime, Asma sarebbe fuggita in Russia. Mosca, però, ha negato. La sorte di Bashar è avvolta dal mistero. La Tv di Stato ha trasmetto alcune immagini che lo ritraggono insieme al nuovo ministro della Difesa. Secondo il quotidiano al-Raì, si troverebbe vicino alla città portuale di Latakia. Secondo altre fonti, non confermate, sarebbe stato ferito nell'attentato di mercoledì.
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