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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2012 alle ore 06:40.

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ROMA
«Si potrebbe procedere come in passato a un diverso sistema di voto per la Camera e per il Senato: collegi uninominali a Palazzo Madama e preferenze a Montecitorio». Pier Ferdinando Casini riprende in mano il bandolo della matassa elettorale nel giorno in cui il confronto in materia tra i tre partiti che sostengono il governo Monti sembra arenarsi. E insiste per un accordo entro agosto. La sua è una proposta che tende a conciliare le posizioni di Pd (favorevole ai collegi e contrario alle preferenze) e Pdl (ufficialmente fermo sulle preferenze). Ma soprattutto è un'iniziativa politica di rilancio, che non a caso viene dopo il colloquio a Palazzo Chigi con il premier. «Basta con la ammuina – è l'appello di Casini –. A Pd e Pdl dico usciamo dai conciliaboli segreti e smettiamo di andare in ordine sparso. Facciamo una riunione di maggioranza per una piattaforma di accordo sulla legge elettorale».
Dopo Pier Luigi Bersani e Angelino Alfano, Monti ha fatto ieri il punto anche con il leader centrista. E il pressing del premier affinché i partiti trovino un accordo sulla riforma del Porcellum anche come segnale di rassicurazione per i mercati continua ad essere forte. Alla vigilanza di Monti va aggiunta quella del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che in mattinata ha ricevuto al Quirinale il presidente della Camera Gianfranco Fini per un colloquio incentrato appunto su riforme e legge elettorale. «Monti auspica che le prove di intesa si concretizzino», ha confermato Casini dopo il colloquio a Palazzo Chigi. Eppure, anche se un incontro ABC potrebbe concretizzarsi già all'inizio della prossima settimana, il barometro continua a segnare cattivo tempo. Non tanto sul merito. Come ha ricordato il senatore democratico Stefano Ceccanti la schermaglia sulla riforma del Porcellum si tradurrà con ogni probabilità in un ritorno al sistema ispano-tedesco (in parte collegi e in parte liste bloccate, con l'aggiunta di un premio di governabilità al primo partito) sul quale per ben due volte, alla fine del 2007 e nella scorsa primavera, i tre partiti avevano raggiunto l'intesa. Il problema sono i tempi. L'opinione comune è che non se ne faccia nulla fino a settembre. E a frenare è soprattutto il Pdl.
Sia i democratici sia i centristi si sono convinti che Silvio Berlusconi vuole tenersi le mani libere per vedere se è possible recuperare l'alleanza storica con la Lega, e soprattutto per bloccare ogni ipotesi di voto anticipato. Fare la legge elettorale ora significherebbe aprire la possibilità di elezioni a dicembre e il Cavaliere non è affatto pronto, a cominciare dalla questione non irrilevante della propria candidatura a premier. Il Pd spinge da parte sua per un accordo a breve («noi siamo determinati a fare la riforma», ha ribadito ieri il braccio destro del segretario Maurizio Migliavacca), ma la realtà è che nessuno dei protagonisti vuole prendersi la responsabilità di un ritorno anticipato alle urne. Come ha fatto capire lo stesso Bersani, prima bisogna vedere che cosa accadrà in agosto: la crisi economica si potrebbe incaricare di rendere indispensabile il voto nel caso fossero necessarie nuove manovre che i due partiti più grandi dicono di non poter votare (a meno di una nuova investitura elettorale). Da qui il guardarsi a distanza dei principali protagonisti.
Il comitato ristretto del Senato incaricato di mettere a punto un testo di riforma si riunirà la prossima settimana e l'orientamento è quello di mettere insieme un testo concordato che recepisca le posizioni diverse di Pd e Pdl per poi passare nuovamente la palla alla commissione Affari costituzionali. «Il lavoro proseguirà senza forzature e drammi», dice Gaetano Quagliariello, uno dei tecnici Pdl al tavolo del confronto. Senza troppa fretta, insomma. Anche perché il quadro delle alleanze non è affatto chiaro. Per il Pd e per il Pdl. Non a caso ieri il Cavaliere ha riunito a Palazzo Grazioli i leghisti Roberto Maroni e Roberto Calderoli. Nel menù alleanze e legge elettorale. Ricostruire l'asse con la Lega – già rinvigorito in Senato con l'approvazione a maggioranza della riforma costituzionale che introduce il semipresidenzialismo alla francese e il Senato federale – non sembra obiettivo troppo lontano. Se è vero che Berlusconi, Maroni e Calderoli ieri hanno anche parlato di una campagna elettorale che dovrà essere incentrata contro l'uso eccessivo della pressione fiscale, a partire dall'Imu.
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