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Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2012 alle ore 20:31.

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Il Pdl tenta la fuga sulla riforma della legge elettorale e annuncia per martedì la presentazione di una propria proposta. E subito il fantasma del Porcellum, approvato nel 2005 con i voti della sola maggioranza, torna a preoccupare il Pd. «Con un colpo di mano da parte del Pdl, la rottura è irrimediabile», avverte Pier Luigi Bersani, minacciando di interrompere le trattative per cercare una riforma elettorale che vada bene a tutti i partiti.

Con l'intenzione di presentare un proprio testo, il Pdl sembra chiudere la possibilità di una mediazione sui due nodi ancora aperti: il premio di maggioranza e la modalità di elezione dei parlamentari. Nella proposta che verrà depositata in Senato, si prevede infatti il premio di maggioranza al partito e l'elezione dei parlamentari con le preferenze per almeno i due terzi. Ma al di là del merito, è il metodo - l'approvazione a maggioranza - che fa andare su tutte le furie il Pd, appena rimasto scottato dalla forzatura attuata da Pdl e Lega per approvare sempre a Palazzo Madama un emendamento sul semipresidenzialismo.

«Chi riveste - sostiene il vicecapogruppo al Senato Luigi Zanda - la carica di presidente del Senato dovrebbe astenersi dall'invocare ipotesi di maggioranza su leggi delicatissime come quella che fissa le regole del voto democratico». Ma il presidente Renato Schifani nega di aver annunciato forzature e, attraverso il portavoce, spiega di essersi solo messo «nel solco di una autorevole precisazione del Capo dello Stato» osservando che «teoricamente, la nuova legge elettorale potrebbe anche essere votata a maggioranza, nel pieno rispetto delle regole della democrazia parlamentare».

Ma il Pd, per dirla con Anna Finocchiaro, «sente puzza di bruciato». E Bersani mette le mani avanti: «Il Pdl sulla legge elettorale oscilla tra pratiche dilatorie ormai estenuanti e la suggestione di un colpo di mano in Parlamento. Un colpo di mano sarebbe un atto di rottura irrimediabile». Un ultimatum che potrebbe avere l'effetto di rompere il filo delle trattative che si era aperto nelle ultime settimane. E di rendere difficilmente possibile un primo voto in commissione entro il 10 agosto così da permettere un via libera definitivo a settembre e di lasciare aperta la possibilità di un voto anticipato a novembre.

Ipotesi che il Pdl guarda con sospetto, puntando l'indice contro Pier Ferdinando Casini e contro il Pd. Se il leader centrista ha tanta fretta di stringere sulla riforma elettorale, è la tesi di Fabrizio Cicchitto, «anche lui sostiene l'ipotesi di elezioni anticipate». Ma sulla reale volontà di cambiare la legge, Casini ha rassicurato Gaetano Quagliariello in un lungo colloquio al termine del funerale di Loris D'Ambrosio. L'obiettivo, spiega l'esponente Pdl, «è di arrivare a un testo base in commissione altrimenti la commissione non può lavorare».

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