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Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2012 alle ore 08:12.

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ROMA
La partita di poker è appena cominciata. La scelta del presidente della Bce Mario Draghi di dichiarare apertamente che la soluzione del problema degli spread tra i debiti sovrani della zona euro «rientra nel mandato della Bce, nella misura in cui il livello di questi premi di rischio impedisce la giusta trasmissione delle decisioni di politica monetaria» – oltre alla frustrata anti-speculazione offerta con l'assicurazione di essere pronti a fare qualunque cosa per salvare l'euro, all'interno del mandato istituzionale – è stata una mossa estremamente efficace per domare i mercati.
Ma perché questa presa di posizione si possa tradurre anche in una strategia articolata servono due elementi. Il primo è l'appoggio dei protagonisti politici di Eurolandia. E ieri questo appoggio è arrivato attraverso le prese di posizione ai massimi livelli: il ministro delle Finanze tedesco Schaüble, la dichiarazione congiunta Merkel-Hollande l'incontro con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Il secondo elemento è il negoziato più difficile, quello che il presidente della Banca centrale europea sta conducendo all'interno del board dell'Eurotower. Lo si è capito subito ieri mattina: non a caso nella prima parte della mattinata l'euro/dollaro si è leggermente deprezzato, portandosi fino a 1,2243 per effetto delle dichiarazioni di un portavoce della Bundesbank, che ha sottolineato come la posizione contraria agli acquisti di titoli di Stato della banca centrale tedesca non si sia modificata. «È evidente che lo scoglio principale in questo momento è rappresentato dalla Bundesbank – osserva Mario Sarcinelli, economista, presidente di Dexia-Crediop e vicepresidente dell'Abi –. La Bundesbank ha sempre dato voce alla paura del popolo tedesco per l'inflazione ed è sempre stata riluttante ad accettare interpretazioni più ampie del mandato della Bce. Si tratta di una questione molto delicata perché la Banca centrale tedesca ha diritto di voto in direttivo. Ora, se Mario Draghi ha avuto la benedizione di Merkel e Schaüble ma non riuscisse a spuntare l'astensione della Buba, una decisione presa a maggioranza del board provocherebbe reazioni dure a partire dal giorno dopo fino al 12 settembre, giorno del pronunciamento della Corte Costituzionale tedesca».
Ecco perché, secondo Sarcinelli, in questo momento siamo nelle mani della Germania «È molto importante – conclude – ottenere un consenso politico di fondo: serve qualcosa che convinca la Bundesbank a sotterrare l'ascia di guerra».
Di qui alla riunione del 1° e del 2 agosto, quindi, Draghi dovrà lavorare su quel crinale interpretativo sottile, lo stesso che fu utilizzato anche da Jean Claude Trichet nell'agosto del 2011 per mettere in atto la sua politica di Securities markets programme. Si tratta del ragionamento per cui se la manovra sui tassi non riesce a funzionare e in alcuni settori si determinano pressioni deflazionistiche, la Banca centrale, per il suo mandato statutario, ha il dovere di intervenire, con quelle che una volta si chiamavano operazioni di mercato aperto. Un altro Ecb watcher di rango, l'economista Marcello De Cecco, appare meno preoccupato sulle chance di Draghi di ottenere il consenso tedesco. «In primo luogo- osserva De Cecco– si è già visto con la presa di posizione del governatore Nowotny che Draghi può contare su un consenso ampio all'interno del board. In secondo luogo da sempre, in Germania, quando c'è una contrapposizione tra i politici e Bundesbank, alla prova finale hanno sempre vinto i politici. Infine, Mario Draghi è una persona di estrema prudenza: se parla, vuol dire che ha già sentito molte opinioni di rilievo».
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