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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2012 alle ore 13:28.

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Al via il processo che ha spaccato in due la Russia. In aula le punk femministe del gruppo Pussy Riot hanno chiesto scusa ma fino a un certo punto. Nella dichiarazione letta oggi in aula riconscono che la loro preghiera punk possa aver ferito la sensibilità di qualcuno ma non riconoscono di avere colpa.

Anzi, si dicono pronte a spiegare le loro azioni. «L'errore sta nel fatto che abbiamo portato in chiesa il genere musicale che stiamo elaborando e se qualcuno si è sentito offeso siamo pronte a riconoscere di aver commesso un errore etico», hanno dichiarato. Il processo arriva dopo aver inscenato una protesta contro il presidente Valdimir Putin all'interno della chiesa di Cristo il Salvatore nella capitale russa. Nadezhda Tolokonnikova, Yekaterina Samutsevich e Maria Alekhina, attualmente in carcere, rischiano una condanna di sette anni.

Il collettivo femminista ha già raccolto la solidarietà delle star della musica e non solo. Dopo la condanna del trattamento che le autorità russe stanno riservando alla punk band da parte di Amnesty International sono arrivate le parole di appoggio di Sting, nei giorni scorsi in concerto nella capitale russa. Sull'altro fronte l'arciprete Vsevolod Chaplin, 44 anni, capo del dipartimento per le relazioni con la società del patriarcato di Mosca, aveva ammonito che la Chiesa ortodossa non concede il perdono senza il pentimento

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