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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2012 alle ore 06:39.

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Dal punto di vista italiano, c'è da trarre qualche motivo di conforto dalle comunicazioni finanziarie rilasciate ieri da due colossi tedeschi, quello finanziario Deutsche Bank e quello industriale Bayer.
Il gigante bancario ha annunciato che l'esposizione netta verso il debito sovrano del nostro Paese è aumentata di quasi un terzo nel secondo trimestre a un totale di 2,5 miliardi di euro: più del doppio rispetto a un anno fa, a indicazione che i peggiori timori sulla tenuta del nostro Paese non trovino giustificazione. Il gruppo chimico-farmaceutico ha alzato le stime sulla redditività del 2012 a una crescita dell'ebitda vicina al 10% (high single digit) soprattutto per «il contesto valutario molto favorevole» ossia per l'indebolimento dell'euro. Il che suona come una conferma che Berlino non abbia affatto interesse a tirare troppo la corda inseguendo l'idea minoritaria di spaccare l'area euro per arrivare a un «eurodeutschemark» potenzialmente esiziale per il suo sistema industriale. È un fatto, insomma, che un po' di svalutazione competitiva legata a debolezze altrui faccia bene alla Germania produttiva.
L'annuncio di Deutsche Bank – in controtendenza rispetto a quelli di Barclays e dei colossi svizzeri – appare tanto più significativo in quanto avviene subito dopo il trapelare di stime sul netto calo dei crediti netti delle banche tedesche in Italia nei primi mesi del 2012 e perché proprio un anno fa l'istituto aveva «choccato» gli investitori con la notizia del brutale taglio di quasi il 90% della sua esposizione sui titoli italiani a meno di un miliardo di euro. Molti non avevano considerato che in parte la riduzione – che aveva dato il segnale di una fuga generale dal debito italiano – era connessa all'impennata dell'esposizione oltre gli 8 miliardi causata dalla fusione con Postbank. A Roma c'è chi l'aveva presa, petrarchianamente, come una manifestazione di «tedesca rabbia», a cui rispondere, d'altra parte, con «vertù contra furore», ossia con i compiti a casa del governo Monti.
L'attuale annuncio del netto rialzo dell'esposizione – che pare attuato attraverso vendite di Cds ma anche con nuovi acquisti – coincide d'altra parte con quello del dimezzamento dell'esposizione di Deutsche Bank verso la Spagna nell'arco di tre mesi a 873 milioni. Il gruppo ha attribuito in gran parte alla crisi del debito sovrano – con i suoi effetti negativi «sulla fiducia degli investitori e l'attività della clientela» i risultati calanti del secondo trimestre: utile netto quasi dimezzato a 661 milioni per lo più a causa del -63% dei profitti nell'investment banking a 357 milioni.
Quest'ultima divisione vedrà un taglio di 1.500 posti, sui 1.900 annunciati ieri, nell'ambito di una ristrutturazione finalizzata a risparmi totali per 3 miliardi che dovrà contribuire al raggiungimento di un Core Tier 1 (Basilea 3) del 10% entro la fine del primo trimestre 2013. I co-presidenti Jürgen Fitchen e Anshu Jain presenteranno a settembre il piano operativo e parlano di «cambiamento culturale» e «modifiche al modello di business e di revenue» (con riduzione delle attività di rischio), il che includerà anche una revisione dei meccanismi sui compensi al personale e sulla ripartizione delle remunerazione tra azionisti e dipendenti. Concetti che in Germania non a tutti piaceranno. Intanto, però, la grande maggioranza dei tagli al personale avverrà all'estero. Fonti interne indicano che l'Italia – dove in 2 anni sono stati aperti 40 nuovi sportelli e i promotori finanziari sono aumentati da 1000 a 1.500 – dovrebbe essere risparmiata.
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