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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2012 alle ore 07:55.

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Piccoli segnali di mezza estate. Sulla legge elettorale si comincia a discutere fra Pdl e Pd in modo meno astratto. Così non si dirà che i partiti, prima di andare in vacanza, non abbiamo voluto ascoltare l'appello del capo dello Stato. S'intende che una qualche legge, bene che vada, non vedrà la luce prima dell'autunno inoltrato.

In un primo tempo occorre che si realizzi l'accordo, poi che la riforma passi in commissione, poi che superi il vaglio dell'aula: dove gli scontenti, da Di Pietro alla Lega, già si preparano alla guerra di trincea. Vedremo. Così come da settembre in poi si capirà meglio se la tessitura di Bersani darà un risultato utile o si rivelerà un gioco a somma zero. Per ora è evidente, e non da oggi, il desiderio di coinvolgere Vendola escludendo Di Pietro. Il presidente della Puglia è in sostanza d'accordo però deve fare i conti con la resistenza della sua base elettorale, alquanto gelida di fronte alla prospettiva di un patto di governo con i centristi di Casini. È la storia che si ripete, con l'aggravante che Bersani e i suoi non possono più sbagliare una mossa nel creare una maggioranza stabile in vista della nuova legislatura.
Vendola va recuperato in quanto "costola" di sinistra del Pd, ma è chiaro che la coalizione dovrà avere un cuore moderato. E dunque è essenziale che Casini porti non solo e non tanto il 7-8 per cento dell'Udc e dei suoi alleati minori, quanto un agglomerato più vasto. Il futuro centrosinistra, per non ricadere negli incubi della vecchia Unione prodiana, dovrà poggiare sul pilastro socialdemocratico del Pd (più Vendola) e sull'altrettanto solido pilastro centrista ed europeista del "partito montiano", cioè dei leali sostenitori della politica europeista di Monti. Un mosaico non facile da costruire. Ci vuole tempo e la legge elettorale procederà di pari passo con la definizione del quadro delle alleanze. Sempre che anche Berlusconi trovi la sua convenienza nell'intesa generale.

In ogni caso la strada della legislatura sembra segnata fino all'epilogo. Non bisogna dimenticare che quest'anno non esiste il "semestre bianco", il periodo in cui il presidente della Repubblica a fine mandato non può sciogliere le Camere. L'emendamento del 1991 voluto da Cossiga abolisce il semestre quando la scadenza del Quirinale coincide con la fine della legislatura. In altre parole, il legislatore si è preoccupato di evitare l'ingorgo costituzionale, come sarebbe nel 2013 quando la fine del settennato di Napolitano (15 maggio) viene a sovrapporsi al naturale esaurirsi del Parlamento. Secondo logica, avremo un leggero anticipo dello scioglimento delle Camere, così da non mescolare le due scadenze. E anche per evitare, per quanto è possibile, che le trattative in vista dei nuovi assetti di governo siano condizionate dai negoziati paralleli volti a individuare il nuovo presidente della Repubblica.
Quest'ultima sembra un'illusione. I due momenti già oggi sono intrecciati e ancor più lo saranno nei mesi a venire. Se i partiti si degneranno di trovare un accordo sulla riforma elettorale, è verosimile che si possa andare a votare entro la metà di marzo o al più tardi entro la fine del mese. Ma per quella data la partita politica dovrà aver risolto il suo passaggio più delicato: servirà che il "partito di Monti" prenda forma e sia in grado di raccogliere una quota molto consistente di consensi. Solo così la prossima legislatura nascerà senza cattivi auspici.
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