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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2012 alle ore 06:37.

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MILANO
Sotto un sole che cuoce, Alberto Nagel arriva puntuale, pochi minuti prima delle 16, accompagnato dal suo avvocato Mario Zanchetti. Scende dall'Audi blu con i vetri oscurati e percorre a piedi qualche metro verso la sede del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, vicino alla stazione centrale di Milano. Vi rimarrà sei ore. Un interrogatorio fiume che spiega con la sua stessa lunghezza la delicatezza degli argomenti al centro delle domande del sostituto procuratore Luigi Orsi.
Il giallo della lettera, innanzitutto. Ma non solo. C'è da ricostruire passo dopo passo gli ultimi mesi che hanno portato, proprio ieri alla conclusione della delicata operazione di integrazione tra i due giganti assicurativi Unipol e Fonsai. Passaggi delicati. Complicati. Sui quali la scoperta del presunto patto occulto tra l'amministratore delegato di Mediobanca e Salvatore Ligresti getta una nuova luce e nuovi interrogativi. Sicuramente, se la procura stabilirà che quello è un accordo parasociale, gli avvenimenti della lunga telenovela Unipol-Fonsai potranno essere letti con occhiali diversi.
Davanti al pm Orsi, Nagel sceglie la soluzione più sensata nella sua posizione di indagato. Decide di non avvalersi della facoltà di non rispondere. E sceglie di spiegare la sua versione dei fatti: il foglio è stato siglato sì, ma soltanto come presa di conoscenza delle richieste economiche della famiglia Ligresti, come impegno a riaprire un tavolo negoziale per ottenere alcune contropartite econoniche.
Non è semplice però chiarire il perché di quella cifra scritta nero su bianco sul fogliettino vergato a mano dalla figlia di Salvatore Ligresti, Jonella: 45 milioni di euro, i soldi della "buonuscita" chiesta dall'anziano ingegnere siciliano per dare il suo assenso all'operazione. Il foglietto al centro dell'interrogatorio reca la data del 17 maggio 2012, ma andando indietro nel tempo, quattro mesi prima, quella cifra era già sul tavolo delle complicate trattative per cedere il controllo di Premafin.
All'inizio di gennaio di quest'anno, infatti, Unipol decidere di convincere la famiglia del finanziere concedendo un assegno di 76,9 milioni di euro in cambio del controllo di Premafin. Della cifra messa a disposizione della famiglia, in base all'accordo, 30 milioni dovranno essere restituiti alle banche creditrici. Ai Ligresti rimarrebbero dunque 46,9 milioni di euro, più una liquidazione vestita da patto di non concorrenza di 14 milioni in cinque anni. Ci penserà la Consob a spazzare via quell'accordo, imponendo la condizione che ai Ligresti non venga concesso alcun privilegio. Ma i 46,9 milioni di euro del gennaio 2012, riaffiorano per una curiosa coincidenza quattro mesi dopo con una cifra leggermente inferiore ma molto simile: i 45 milioni di euro del presunto patto Ligresti-Nagel.
L'accordo, anche se non è mai stato attuato, sembra dunque l'estremo tentativo dei Ligresti di far rientrare dalla finestra ciò che la Consob aveva spazzato via dalla porta. Passano i mesi, infatti, ma la "ricompensa" per la famiglia è sempre lì. Questa volta non più alla luce del sole ma al sicuro nella cassaforte del segretario del patto di sindacato di Mediobanca, Cristina Rossello.
In sei ore di interrogatorio Nagel risponde alle domande di Orsi ricostruendo tutta l'operazione Unipol-Fonsai dal punto d'inizio fino a quel 17 maggio. Comunicato dopo comunicato, riunione dopo riunione, si scende nel dettaglio delle singole operazioni e delle complesse trattative. Anzi, si comincia ancora da prima. Da quando Nagel ha conosciuto Salvatore Ligresti e si segue il filo delle tappe temporali che hanno scandito la vicenda che ruota attorno a Premafin.
I Ligresti, sostiene l'amministratore delegato di Mediobanca, volevano ottenere soldi e benefit. Gli stessi che chiedevano da mesi. Semplici richieste, ribadisce Nagel. E dunque, quel foglietto di carta non si sarebbe tradotto in «alcuna ipotesi di accordo con Mediobanca, Unicredit o Unipol». Per questo la difesa di Nagel presenterà istanza di archiviazione. E tocca adesso al sostituto procuratore Orsi tirare le somme di questa vicenda e stabilire perché l'amministratore delegato di Mediobanca ha siglato quel foglio scritto a mano.
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