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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2012 alle ore 09:02.

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Nessun eccesso, nessuno sforamento. L'Ilva prova a smontare le accuse dei periti del gip Patrizia Todisco che accusano l'azienda di disastro ambientale. «I valori-limite delle emissioni definiti nell'Aia sono gli unici parametri giuridicamente rilevanti». Dopo le dichiarazioni del presidente Bruno Ferrante, che più volte ha detto che l'Ilva ha rispettato la legge, tocca agli avvocati rilanciare con la memoria difensiva e le controperizie presentate ieri a Taranto nella prima udienza del Tribunale del riesame chiamato a decidere sulle istanze di dissequestro degli impianti del siderurgico e sulla rimessa in libertà di otto persone ai domiciliari da giovedì scorso: gli ex presidenti dell'Ilva, Emilio e Nicola Riva, e sei dirigenti dello stabilimento di Taranto.

In sintesi, la giornata in un Tribunale blindato: dieci ore di discussione, aggiornamento a stamattina, rigettata la richiesta del Codacons di partecipare al procedimento come parte offesa e rigettata anche l'istanza della Procura di decidere ora solo per le misure personali rinviando a dopo le ferie quella sulle misure reali, ovvero i sigilli agli impianti. No, ha detto il collegio (presidente Antonio Morelli, a latere Alessandra Romano e Benedetto Ruberto): sono in gioco rilevanti interessi sociali ed economici. E quindi si decide su tutto con un verdetto che arriverà entro il 9 agosto.

Gran parte della partita si è giocata sull'accusa di disastro ambientale. Nessuna violazione, controbatte l'Ilva: «Lo stabilimento esercisce nel pieno e indiscusso rispetto di una legittima Autorizzazione integrata ambientale emessa nell'agosto 2011. Quanto al passato l'Ilva ha sempre esercitato entro i limiti di regimi autorizzatori». Indicando i reati contestati dalla Procura all'Ilva, l'Ilva dice che hanno già costituito materia di «numerosi processi» e tuttavia «nessuna sentenza di condanna ha mai affermato la sussistenza di reati il cui accertamento avesse ad oggetto un presunto sfondamento dei limiti. Persino il reato di “getto pericoloso di cose” è stato in passato contestato unicamente in base all'interpretazione estensiva della disposizione incriminatrice» per la quale «assumerebbero rilevanza penale anche emissioni quantitativamente e qualitativamente inferiori ai limiti applicabili».

Per gli avvocati dell'Ilva, dunque, «il rispetto dei limiti di emissione costituisce una realtà mai smentita, neppure in relazione al lontano passato. Non occorrerà rammentare quale fosse lo stato dello stabilimento sotto il profilo ambientale sotto la gestione pubblica. Neppure occorrerà spiegare che gli effetti di investimenti anche elevatissimi richiedono anni prima di rendersi misurabili, specie se gli indicatori non descrivono la fonte emissiva bensì le condizioni ambientali di un territorio fortemente industrializzato e urbanizzato». E «nessuno degli atti di indagine o dei documenti acquisiti al fascicolo del pubblico ministero può smentire semplici e decisivi dati». Anche le risultanze dell'incidente probatorio davanti al gip «confermano positivamente quei dati».

L'Ilva quindi incalza: i livelli di particolato medio annuo (Pm10) di Taranto sono inferiori a quelli che si riscontrano a Roma, Firenze e città del Nord. Sulle polveri, poi, «non vi è alcuna stima della quota di particolato attribuibile alle emissioni dell'Ilva». E ancora: «Non vi è alcun eccesso di mortalità per leucemie, per tumori linfoemopoietici, nè per tutti i tumori nei bambini da 0 a 14 anni a Taranto. La mortalità per tumori nei bambini a Taranto e Statte nel periodo più recente (2003-2006-2008) è quella attesa rispetto al riferimento regionale Puglia». Mentre «gli effetti a lungo termine riferiti ai lavoratori se reali, riguardano soggetti con pregresso impiego in siderurgia nel periodo 1974-1997 e sono quindi da attribuire alla gestione pubblica».

L'accusa, guidata dal procuratore capo Franco Sebastio, contesta le controperizie ma tira fuori anche delle intercettazioni telefoniche dalle quali emerge che i dirigenti Ilva avrebbero voluto «legare il culo alla sedia» ai funzionari pubblici chiamati a valutare i livelli di inquinamento. Per la Procura, l'Ilva voleva impedire o quantomeno ostacolare ogni accertamento. Sapeva di avere responsabilità. Le intercettazioni ora sono in un procedimento penale per corruzione in atti giudiziari (quattro gli indagati) riunito con quello di disastro ambientale.

Rigettata infine l'accusa di pericolo di fuga che ha portato i Riva ai domiciliari. Nei giorni precedenti l'arresto, Emilio Riva aveva «pianificato incontri con le più autorevoli istituzioni del territorio e dello Stato».

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