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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2012 alle ore 06:38.

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I Fratelli musulmani prendono ministeri importanti ma ai militari restano quelli che garantiscono il controllo della nazione; come il presidente, anche il nuovo primo ministro è della fratellanza ma "l'autorità legislativa" resta nelle mani dei militari. Il Governo che ha giurato ieri è un esempio quasi perfetto di compromesso storico fra i due principali protagonisti della scena egiziana.
Non era esattamente questo che desideravano i giovani della coraggiosa rivolta di piazza Tahrir. In un certo senso se l'unità di misura sono ancora quelle aspirazioni di democrazia, la loro è una sconfitta. Ma da allora le cose sono cambiate e il compromesso fra islamisti e militari è stata la cosa più intelligente che si potesse fare nell'Egitto di oggi, ancora carico di tensioni e in attesa di una ripresa economica. Per un futilissimo motivo - la maglia di un musulmano rovinata da uno stiratore cristiano - in una cittadina a Sud del Cairo, è scoppiata una battaglia settaria con un morto e una quindicina di feriti.
«Dobbiamo smettere di chiederci chi sia copto, musulmano o salafita. Quel che vedo è che siamo tutti egiziani», dice Hisham Qandil, il nuovo premier, dopo aver giurato davanti al presidente Mohamed Morsi. Ma Morsi e Qandil sono della fratellanza, come i quattro ministri di Educazione, Edilizia, Gioventù e Informazione (nemmeno il nuovo Egitto è capace di rinunciare a questo dicastero il cui compito è sempre stato disinformare e sottomettere la stampa). Il ministro degli Affari religiosi non è della fratellanza ma è sempre il presidente di al-Azhar, l'Università islamica più importante del sunnismo. Per affermare la vocazione islamista delle scelte di Morsi e Qandil, come suo vice il nuovo premier potrebbe scegliere Khairat al-Shater, il vero leader politico della fratellanza.
Di donne ce ne sono solo due: Nagwa Khalil agli Affari sociali e Nadia Zakhari alla ricerca scientifica: la quale è forse l'unica copta del nuovo esecutivo. Se ve ne sono altri, non ci sono comunque personalità riconosciute della comunità cristiana. E non ci sono neanche autorevoli rappresentanti del terzo fronte: quell'eterogenea e rissosa brigata di liberali moderati e radicali, socialisti, marxisti, nasseriani identificabili col nome di "civili": nel mondo arabo non si usa "laico".
La gran parte dei 35 ministri è comunque formata da tecnici che dominano sui politici puri. Quasi tutti, anche i politici, hanno un curriculum professionale legato al dicastero del quale sono responsabili. Poi vengono i militari e i ministri del loro vecchio Governo, confermati anche nel nuovo. Occupano i gangli del sistema.
Naturalmente il generale Tantawi, capo del Consiglio superiore delle forze armate, confermato alla Difesa (sempre lui: prima, durante e dopo la rivoluzione); il generale Ali Sabri alla Produzione militare; il generale Ahmed Jamal al-Din agli Interni. Agli Esteri e alle Finanze restano Mohamed Kamal Amr e Muntaz al-Said. Li avevano già scelti i militari nel precedente governo.
Questo significa che oltre alla sicurezza dei confini nazionali, il controllo poliziesco interno, i servizi segreti, le prigioni nelle quali sono ancora detenuti diversi dissidenti, restano nelle mani dei militari, senza controllo civile. Anche sulla politica estera il presidente e il premier islamisti dovranno confrontarsi con i militari, i loro ministri o più semplicemente lo Scaf che esiste ancora: dentro e al di sopra del Governo. La presentazione della nuova carta costituzionale, probabilmente dopo il mese di Ramadan alla fine di agosto, sarà un'interessante verifica della tenuta del compromesso egiziano fra islamisti e militari.
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