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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2012 alle ore 14:03.

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Stefania De VirgilisStefania De Virgilis

Stefania De Virgilis ha la placida bellezza della giovane donna che aspetta un bimbo. Stefania è una sindacalista dei metalmeccanici della Uil. È stata, a 28 anni, la più giovane eletta nella Rsu dell'Ilva. La sua storia personale, la sorte dei suoi genitori e il futuro dei suoi figli, si intrecciano in maniera intima con la vicenda dell'acciaieria. Morte e amore. Malattia e salute. Corpo e lavoro.

Il 27 gennaio del 1997 è stata assunta all'Ilva. In fabbrica ha preso il posto di suo padre, Francesco, che si sarebbe spento il 30 aprile del 1998 per un mieloma, all'età di 44 anni. È entrata in fabbrica come primogenita di una famiglia con quattro figli. La mamma Anna casalinga. I soldi non bastavano. Ha lasciato la facoltà di giurisprudenza. Il fratello Roberto si è laureato in matematica. La sorella Sabrina ha studiato economia e lavorato in un'azienda della cantieristica navale, finché la chiusura di quest'ultima le ha precluso anche la possibilità di pagare le tasse universitarie. Il fratello Ivan è in marina.

Oggi Stefania, sposata con Domenico, è all'ottavo mese di gravidanza. «La mia storia con l'Ilva è quella di una grande passione. Questa fabbrica è un posto insieme durissimo e affascinante. Una delle più grandi d'Europa. I nastri trasportatori, gli altiforni, l'acciaieria. Una macchina perfetta. Con rumore, odori e calore. Non una azienda di cioccolatini. E, dentro, noi uomini e donne che lavoriamo e, scusi il linguaggio un po' datato, lottiamo per i nostri diritti».

In quindici anni ha visto la fabbrica cambiare. I primi impianti fatiscenti. I loro graduali ammodernamenti. «Oggi sono in linea con lo standard di settore», spiega con la perizia dei sindacalisti metalmeccanici, che restano fra i migliori conoscitori di quell'organismo complesso e delicato che è l'industria italiana. Soprattutto ha sperimentato il trapianto della cultura dell'impresa privata su un corpo industriale pubblico. «I Riva sono imprenditori. Fanno i loro interessi. E, all'inizio, hanno avuto un atteggiamento molto duro nei confronti di tutti: operai, impiegati e sindacalisti. Poi, poco alla volta, noi abbiamo conosciuto loro e loro hanno conosciuto noi. O, meglio, ci siamo riconosciuti a vicenda». E, così, nello stabilimento si sono create relazioni industriali pragmatiche, che per esempio hanno influito sulla sicurezza e sulla riduzione dell'impatto ambientale dei processi industriali. «Mio papà in Italsider era vicino al sindacato. Lui era molto più ideologico. Era un'altra epoca. Anche noi siamo molto presenti. Meno teorici. Altrettanto persuasivi con la dirigenza e la proprietà».

Nessun sindacalismo rivoluzionario. E, anche, nessuno strano mix fra rigidità e pratiche corrive o collusive che invece, secondo più di un osservatore, avrebbe caratterizzato l'attività sindacale nella vecchia acciaieria durante la decadenza dell'Iri. «Non è facile fare sindacato, perché soprattutto fra noi giovani, e oggi l'Ilva ha una età media di 32 anni, esiste una forma generalizzata di critica, verso tutto e tutti. Mi sono allenata a distinguere. Anche per questo ho imparato a giudicare con razionalità le cose fatte dai Riva. E apprezzo la crescente apertura che hanno avuto verso la città, soprattutto adesso che qui c'è il più giovane di loro, Fabio».

Stefania ha la stanchezza felice di chi sta per fare nascere un bimbo, Simone, che raggiungerà presto la sorellina Alessia, due anni. E la preoccupazione di chi si trova in mezzo al caos del sequestro della "sua" fabbrica. «L'Ilva non deve chiudere. Qui, per cento anni, l'alternativa è stata fra la siderurgia e la marina. Non vorrei che, nei prossimi cento anni, l'alternativa diventasse fra la marina e il crimine».

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