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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2012 alle ore 08:15.


NAPOLI
Sarà quasi sicuramente Silvio Berlusconi, presunta vittima di un nuovo tentativo di estorsione orchestrato ai suoi danni da Valter Lavitola, a dover spiegare ai pm napoletani se davvero si sentì minacciato dall'ex editore dell'Avanti che, latitante in Sudamerica, gli chiese 5 milioni di euro. Soldi che Lavitola (per lui ieri nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere) ha sempre definito un aiuto a un amico in difficoltà economica, ma che per i pm di Napoli Woodcock e Piscitelli potrebbero rappresentare invece il prezzo del silenzio su vicende, penalmente rilevanti, che avrebbero come protagonista l'ex presidente del Consiglio e che potrebbero pregiudicarne l'immagine pubblica.
Appare scontato, infatti, che la Procura partenopea voglia sentire il Cavaliere come persona informata dei fatti e parte lesa, così come accadde un anno fa di questi tempi in occasione di una precedente indagine, sempre per estorsione, che portò alla latitanza Lavitola e all'arresto dei coniugi Tarantini. In quell'occasione, Berlusconi inviò ai magistrati una memoria scritta, ma il fascicolo fu poi sdoppiato e trasferito a Roma, con l'ipotesi accusatoria originaria, e a Bari con la contestazione di induzione alla falsa testimonianza. Secondo alcune indiscrezioni, sarebbe addirittura già partita una convocazione da parte dei pm napoletani, nelle scorse settimane, invito che però fino ad oggi sarebbe rimasto lettera morta. Oltre all'ex direttore dell'Avanti, le manette sono scattate anche ai polsi di Carmelo Pintabona, amico e socio in affari, ritenuto il "braccio operativo" di Lavitola in Italia e in Sudamerica e suo "ambasciatore" presso il Cavaliere. In almeno un'occasione, però, secondo i magistrati che hanno raccolto la testimonianza della sorella Maria, Lavitola avrebbe tentato un approccio diretto con il Cavaliere, inviandogli una mail o un fax per mostrargli un biglietto aereo per l'Italia e riferirgli una frase dal tono inequivocabile: «Torno e ti spacco il culo». In un pc è inoltre stata trovata copia di una lettera, scritta da Lavitola e indirizzata al Cavaliere ma mai spedita, in cui il giornalista si difenderebbe dall'accusa di aver utilizzato a fini personali i 500mila euro stanziati a favore dei coniugi Tarantini («non sono un truffatore che approfittava della Sua fiducia») e di essere pronto a restituirne la parte rimasta nella sua disponibilità (circa 145mila euro).
A fare il nome di Pintabona ai pm è stato lo stesso giornalista nel corso dell'interrogatorio del 25 aprile, quando – parlando dei contatti mantenuti in Italia dall'estero, durante la latitanza - ha ammesso di aver incaricato il suo amico di parlare con Berlusconi per chiedergli dei soldi: «Digli che sono nella cacca», gli avrebbe consigliato. Non è chiaro, però, se realmente Pintabona sia riuscito a entrare in contatto con l'entourage del Cavaliere e se, in questa storia, Lavitola abbia realmente ricevuto del denaro. Da qui, la necessità degli inquirenti di ascoltare Berlusconi.
L'ordinanza di custodia cautelare in carcere contiene un numero impressionante di intercettazioni telefoniche e sviluppi investigativi riguardanti filoni paralleli, uno su tutti quello che vede indagati i due legali di Berlusconi Alessandro Sammarco ed Eleonora Moiraghi per induzione a non rendere dichiarazioni o a mentire all'autorità giudiziaria. Secondo i pm, i due avvocati avrebbero cercato di raggiungere Lavitola in Argentina per concordare una versione che non danneggiasse il loro cliente. Agli atti c'è anche una intercettazione in cui Pintabona e Altomare discutono di una partita a briscola col "nano maggiore" che Lavitola farà una volta uscito da galera, una partita che secondo loro il "nano maggiore" non potrà che perdere.
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IL RICATTO

L'ipotesi dei pm
Valter Lavitola (foto), tramite Carmelo Pintabona, chiese a Silvo Berlusconi cinque milioni di euro, con la minaccia di rivelare ai pm «circostanze di fatto penalmente rilevanti»

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