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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2012 alle ore 22:23.
Jonathan Browlee coperto di ghiaccio dopo un collasso al traguardo del triathlon. Chris Hoy piegato dal dolore durante un allenamento. Perfino Usain Bolt, anzi, "super Bolt", che vomita mentre si prepara per le gare dei Giochi.
«No pain no gain»: il luccichio di ogni medaglia, gli applausi di ogni record nascondono sacrifici e sofferenze. E non è un luogo comune.
Svenimenti, collassi, attacchi di vomito, e a volte si rischia la vita: negli ultimi due campionati mondiali di nuoto di fondo diversi atleti sono stati salvati mentre arrancavano per la stanchezza e nel 2010 a Dubai l'americano Fran Crippen ci ha rimesso la vita.
La ricerca degli estremi dei limiti umani è una delle attrazioni delle Olimpiadi, ha detto Lord Moynihan, presidente della British Olympic Association. Ma raggiungere questi estremi ha un prezzo che non tutti sono in grado di sopportare. «Un medico tedesco mi ha fatto il check-up, poi ha dato luce verde ai miei coach di "torturarmi"», ha confessato la "saetta" Bolt, che ha conquistato l'oro anche nei 200 metri, e che una troupe televisiva ha ripreso mentre vomitava dopo una serie di sprint di allenamento particolarmente intensi.
Al Velodromo stessa storia che sui campi di atletica: il britannico Sir Chris Hoy, che ha conquistato la sua sesta medaglia d'oro, ha raccontato che gli allenamenti lo hanno lasciato «accartocciato sul pavimento» per il dolore: «Ci sono training davvero terribili, in cui il dolore è così acuto. La gara a volte è molto più facile di quello che soffri per arrivarci». Sempre nel Team Gb Mo Farah si allena con lo "scienziato pazzo" Alberto Salazar (un esule cubano) in Oregon usando un treadmill subacqueo: non meno di 20/30 chilometri alla settimana in aggiunta all'oltre centinaio di chilometri sulla terraferma. «Il dolore della corsa è come quello dell'annegamento. Perdi la volontà di combattere. L'idea è di superare questo tipo di fatica», ha spiegato Salazar a sua volta un ex atleta.
Diventare supertleti significa anche rischiare un fine gara come quello di Jonathan Browlee, medaglia di bronzo del triathlon dove suo fratello Alistair ha vinto l'oro: dopo aver avuto un collasso in vista del traguardo ha vomitato bile mentre i medici di team Gb gli coprivano il corpo di ghiaccio per abbassare la temperatura corporea, il tutto lontano dai flash dei fotografi.
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