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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2012 alle ore 08:13.

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ALEPPO. Dal nostro inviato
L'invito del generale Mahamoud ha una venatura ironica, anche se del tutto involontaria: «Vi aspetto per un breakfast eccezionale in cima alla cittadella di Aleppo», la fortezza millenaria appena espugnata dai soldati di Damasco. Ma insieme al tè arriva anche la raffica di un cecchino dei ribelli che sbriciola una finestra del Museo, nella parte più alta dell'acropoli, alle spalle della scrivania del generale. Il bicchiere del tè per un attimo ondeggia sul tavolino. I militari di Bashar Assad non hanno neppure finito di festeggiare le ultime conquiste che la guerriglia torna a ondate, incessante, come una risacca dal moto perpetuo.
La battaglia di Aleppo nel centro storico e nella parte orientale si combatte strada per strada, giorno dopo giorno. I ribelli hanno confermato la «ritirata tattica» da Salaheddin, fino a due giorni fa la loro roccaforte, ma soltanto «per aprire un nuovo fronte» nei vicini sobborghi di Saif al-Dawla e Mashad, ha precisato Wassel Ayub, comandante della brigata "Nur al-Haq" dell'Esercito libero siriano (Els). La verità sta forse nelle parole di un altro leader degli insorti, Hossam Abu Mohammed, secondo il quale «i combattenti si stanno riposizionando a Sukari» verso la periferia sud-orientale, dove con i carri armati di Bashar si schierano per un nuovo scontro.
Ma la guerriglia non può certo rivelare ai media i suoi piani di battaglia: le incursioni improvvise e gli spostamenti veloci dei combattenti sono le sue armi migliori, le uniche davvero efficaci.
Se ad Aleppo Est infuriano gli scontri e nei bombardamenti dei lealisti sono morte in un panificio una dozzina di persone, tra cui tre bambini, a Ovest la città mostra un volto quasi normale, con i negozi aperti e la gente per strada. Ieri appariva tranquilla anche la famigerata strada dell'aereoporto che ho percorso due volte nel tentativo di trovare un volo per Damasco. «L'esercito - dicono i bollettini ufficiali - ha ucciso decine di terroristi che tentavano di attaccare l'aereoporto». L'unico fatto certo è che alle cinque del pomeriggio lo scalo era quasi deserto e i voli cancellati.
La narrativa di questo conflitto, con notizie difficili da verificare anche stando sul posto, è contrastante: l'esercito di Assad ha più armi dei ribelli ma gli insorti - ed è comprensibile davanti a un regime dalla pessima fama - hanno i media internazionali dalla loro parte, in particolare le tv arabe del Golfo. Ma qui si tratta di capire soprattutto quale direzione può prendere questa vicenda per non trovarsi di fronte, poi, a una realtà assai diversa da quella che viene descritta.
Il generale Mahamoud, nonostante le raffiche ravvicinate, mostra ovviamente un certo ottimismo: «Entro dieci giorni, alla fine del Ramadan, occuperemo tutta la città». In questo salone, con le vetrine dei fragili reperti archeologici di tremila anni di storia, una targa dorata ricorda che il 28 agosto del 2008 Bashar Assad e Karim Aga Khan, mecenate e capo spirituale degli ismailiti, inaugurarono i restauri della cittadella. Nessuno allora poteva immaginare che gli imponenti bastioni di Qalah, disseminata di tombe illustri, leoni e draghi avvinghiati, sarebbero diventati teatro di una battaglia contemporanea, combattuta sull'orizzonte delle moschee omayyadi e ottomane, tra hotel di lusso, boutique ed eleganti caffè.
Per l'effetto sorpresa della guerriglia il breakfast con il generale ci va quasi di traverso. Questa volta sotto il tiro degli insorti dobbiamo scendere di corsa lungo le mura di Qalah, attraversando la porta principale della fortezza sgretolata da un colpo di mortaio. I due fronti adesso si accusano a vicenda di averla bombardata mentre i capolavori dell'architettura musulmana sono diventati l'arena di una guerriglia urbana dall'esito incerto, per ora imprevedibile. «In Siria non ci sarà un vincitore», ha detto Ban Ki-moon, il segretario generale dell'Onu che si prepara ad affidare il ruolo di mediatore di Kofi Annan all'algerino Lakhdar Brahimi, nel '92 ministro degli Esteri della giunta militare del colpo di stato anti-islamico. La triste prospettiva di questa guerra civile è che a lungo termine distruggerà non soltanto città e villaggi ma anche il tessuto sociale di una convivenza che già sembra perduta.
Sulla strada di Salaheddin, il quartiere più bombardato di Aleppo, la signora Nour Amandush lascia la sua casa con il marito Mohavian e i tre figli. Si vedono circolare auto di famiglie in fuga con materassi e suppellettili, come in questa guerra civile è già accaduto a Homs, Hama, Idlib. Oltre 150mila sono i profughi nei Paesi confinanti, un milione e mezzo, dicono le organizzazioni umanitarie, i rifugiati interni che si lasciano dietro città fantasma. Nour spera ancora di tornare domani nella sua casa di Salaheddin ma lo dice senza convinzione, scrutando con sospetto i cannoni dei carri armati di Bashar.
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