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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2012 alle ore 08:13.

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ROMA
«Je suis une femme tunisienne et avant d'être une femme ou une tunisienne je suis un être humain et une citoyenne à part entière». Poche parole, ma quelle giuste per comprendere la paura e la disperazione di quella schiera di donne tunisine che si vedono diventare le vittime, e non più autrici del loro futuro, dopo una agognata rivoluzione. Quella che doveva cambiare la Tunisia "in meglio" nel nome della libertà e della giustizia. Di certo non ci si aspettava che nel 2012, disegnando la nuova costituzione, e dunque la propria storia futura, si mettesse mano proprio a quell'articolo storico di cui la Tunisia si è fatta orgoglio, diventando un faro per tutto il mondo arabo sui diritti delle donne.
E invece sì. La storia insegna che dal buio non c'è sempre una via di scampo definitiva e il tempo non è mai un antidoto sicuro. Era il 13 agosto del 1956, e anche quelli erano anni di libertà e trasformazione, facili da ricordare come una fotografia in bianco e nero. Giovani tunisine che passeggiano, aspirando boccate di libertà - e non importa se con la minigonna o il velo - in quella che divenne l'avenue Habib Bourguiba'. Perché fu proprio lui ad aprire quel primo spiraglio di luce. Dando a quelle donne la possibilità di prendere in mano almeno per poco il loro destino. Promulgò quel codice di statuto personale, il simbolo per eccellenza di una vera rivoluzione per le donne. Da quel momento per legge erano riconosciute come "uguali" agli uomini, la poligamia interdetta e il divozio finalmente possibile. Questo grande e coraggioso passo fu di ispirazione per altri paesi del Maghreb come il Marocco e l'Algeria. E cambiò molto la vita di queste donne.
Oggi, a 56 anni di distanza, quella finestra può essere violentemente richiusa. Perché chi siede al potere della nuova Tunisia è tornato alla discussione primitiva e patriarcale, che si pensava ormai chiusa: la subordinazione di un sesso all'altro.
La nuova bozza dell'articolo 28 (che dovrà ancora essere approvata dal Parlamento in seduta plenaria) stabilisce infatti che «lo Stato assicura la protezione dei diritti della donna, sotto il principio della complementarità all'uomo in seno alla famiglia, e in qualità di associata all'uomo nello sviluppo della Patria». Complementarietà e non più uguaglianza. Ma ancor di più: le parole dall'arabo all'italiano cambiano interpretazione, perché quando si dice "complementare all'uomo" in arabo, si traduce "annesso al l'uomo". Di fatto la donna smette di esistere come individuo a sé, pur se da parte dei promotori, il partito islamista al potere Annahda, si cerca di mediare giocando con le parole: Mehrzia Nabidi, membro del partito islamista si affretta a precisare che complementarità non significa disuguaglianza, ma c'è uno scambio, un partenariato.
E allora ci si chiede: come mai non c'è un articolo che dica che anche l'uomo è complementare alla donna?
Si dirà che il codice di famiglia è ancora vivo e vegeto, ma resta il fatto che in realtà con questo appiglio costituzionale si scavalca in pieno il codice di famiglia che tutela l'uguaglianza della donna, e questo non è altro che uno spiraglio al recupero della tradizione sciaraitica (da Sharia, la legge coranica), che esalta la visione tradizionale dell'uomo preposto alla donna e della donna subordinata all'uomo. E questo è solo l'imput che potrebbe aprire una strada buia nel futuro della Tunisia.
Ciò spiega perché, anche se il testo non è stato ancora votato dal Parlamento, sono molte le associazioni tunisine sul piede di guerra, con capofila Selma Mabrouk, una deputata del partito di sinistra Attakatol che ha già lanciato una petizione, firmata dalle associazioni, dove si chiede il ritiro del testo e si invitano le tunisine a manifestare il 13 agosto, giorno della festa della donna. Un appello dunque alle donne della Tunisia, ad alzare la testa e gridare che loro sono la metà della società e non la metà di un uomo. Perché questo passo indietro non rischi di essere il simbolo di una primavera araba tradita e si porti via anche quei paesi che della Tunisia fecero un faro, almeno sui diritti delle donne.
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I PRINCIPI

Passo indietro
Con la vittoria del partito islamista Annahda, il 14 gennaio 2012, seguita alla caduta di Ben Ali, si procede alla stesura della bozza costituzionale. L'articolo 28 rompe il principio di uguaglianza tra uomo e donna e stabilisce invece che lo Stato assicura la protezione dei diritti della donna, sotto il principio della complementarità all'uomo in seno alla famiglia, e in qualità di associata all'uomo nello sviluppo della Patria
La protesta
Il 13 agosto è prevista la manifestazione delle donne tunisine per il ritiro del testo che rinnega il principio di uguaglianza tra uomo e donna

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