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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2012 alle ore 06:38.

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D'ora in poi «i militari si dedicheranno alla sacra missione di proteggere la nazione». Se non è solo lotta di potere, quello che ha fatto Mohamed Morsi è una rivoluzione per il mondo arabo: i militari che fanno solo i militari e non anche i capi di governo. Quando erano iniziate, il senso delle Primavere era proprio questo: spingere i raìs in divisa a uscire dal Palazzo e rientrare nelle caserme. Molte cose sono accadute da allora. In diversi Paesi il potere è andato agli islamisti e questo ha aperto un nuovo capitolo altrettanto complesso: il timore che non sia un cambio democratico ma solo di ruoli, le fratellanze al posto dei militari. L'Egitto è il caso più esemplare.
A sorpresa, domenica sera il presidente Morsi ha rimosso il generale Mohamed Tantawi dalla carica di ministro della Difesa e il generale Sami Anan da quella di capo di stato maggiore delle forze armate. A seguire, ha sostituito anche i capi di esercito, aviazione e marina. Fuori Tantawi, 76 anni, e il suo atteso successore Anan, da ieri non esiste più lo Scaf, il Consiglio militare supremo che dalla rivolta di piazza Tahrir aveva preso in mano il potere. I due generali ne erano il capo e il vice. Forse più importante dei generali silurati - ma «dopo essere stati consultati», specifica un portavoce dello Scaf - è l'annullamento della "dichiarazione costituzionale" del Consiglio militare. A giugno, prima delle elezioni presidenziali e dopo aver sciolto per irregolarità il Parlamento, i generali avevano assunto il potere legislativo. Fra gli altri, mantenevano un potere di controllo sui bilanci dello Stato e sui lavori della commissione costituzionale incaricata di riscrivere la carta fondamentale.
Il decisionismo di Morsi è stato definito un "golpe bianco". In realtà non c'è alcun colpo di stato. Morsi è stato eletto presidente per voto popolare e fino alla nuova Costituzione i suoi poteri sono illimitati. Gli stessi che avevano Nasser, Sadat e Mubarak. I militari lo sapevano e per questo avevano tentato di circoscriverli con le loro "dichiarazioni costituzionali". Ma sapevano anche che una volta assunta la carica, Morsi e i Fratelli musulmani avrebbero dato il via a una nuova dinamica di potere. L'azione terroristica di al-Qaida nel Sinai, al confine con Israele, i 16 soldati egiziani morti e l'inadeguatezza militare e dei servizi di sicurezza di fronte alla crescente minaccia islamista, hanno accelerato il processo. L'evidenza dell'anarchia nel Sinai ha reso il presidente più forte e i generali più deboli.
Probabilmente Morsi non cercherà di stravincere, riconvocando il Parlamento che la Corte costituzionale aveva fatto chiudere a giugno (su pressione dei militari); e la Corte non obietterà sull'annullamento delle prerogative costituzionali. Una trattativa fra potere civile e Tantawi, probabilmente c'è stata. Priorità dello Scaf non era prolungare il potere militare: sarebbe stato come continuare un modello Mubarak, insostenibile dopo la Primavera. Erano piuttosto l'immunità riguardo a probabili accuse di violenze ai civili, il controllo del ministero della Difesa, dei suoi bilanci e delle spese militari, la salvaguardia delle imprese e degli interessi economici militari, circa il 15% del Pil.
Il nuovo ministro della Difesa e capo di stato maggiore delle forze armate è un uomo di Tantawi, il generale Abdul Fattah al-Sisi, capo dell'intelligence militare. Quello che durante le rivolte in piazza Tahrir aveva imposto alle giovani manifestanti arrestate il "test di verginità": affinché, aveva spiegato, nessuno potesse accusare i militari di violenze sessuali. Controllando il ministero della Difesa, i militari restano dunque con più di uno stivale dentro il potere politico. Quello di Morsi è stato un altro compromesso tra islamisti e generali.
Ma c'è un secondo risultato nella domenica che ha cambiato il volto dell'Egitto. Una presidenza civile diventata più forte significa anche una fratellanza più potente. Con i crescenti successi elettorali della fratellanza, lo Scaf era diventato una specie di ente di controllo sugli islamisti diventati forza di governo. Ora questo contrappeso politico non c'è più. Domenica Morsi ha nominato vicepresidente della repubblica Mahmud Mekky, un giudice che negli anni di Mubarak aveva lottato per l'indipendenza del potere giudiziario. Mekky piace ai liberali. Ma non basta a rassicurare quel terzo di Egitto che non è con la fratellanza né con i militari. Il vero banco di prova resta la nuova Costituzione che una commissione nominata dai militari sta riscrivendo. Se Morsi non annullerà anche quella, sarà un buon segnale.
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