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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2012 alle ore 14:21.

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Antonio Rossi durante le Olipiadi di Atene nel 2004 (LaPresse)Antonio Rossi durante le Olipiadi di Atene nel 2004 (LaPresse)

Elisa Di Francisca, Fiamme Oro, come Jessica Rossi. Niccolò Campriani, Fiamme Gialle. E ancora, Carlo Molfetta, Carabinieri, e Daniele Molmenti, Forestale. L'oro olimpico degli atleti italiani passa dai corpi sportivi militari, sezioni delle Forze armate e delle Forze di polizia che gareggiano in ambito nazionale e internazionale. Per alcuni, si tratta di una tradizione che vìola le leggi della logica, perché il Coni, meglio, lo Stato, non dovrebbe pagare per giustificare la pratica di uno sport ad alto livello. Per altri, i gruppi militari rappresentano invece l'unica possibilità di sviluppo di un movimento che per continuare a fare bene non può sganciarsi da una realtà che garantisce numeri e prospettive.

La pensa così anche Antonio Rossi, plurimedagliato olimpico della canoa, da tempo componente della giunta del Coni: "Io devo tutto alle Fiamme Gialle - spiega a ilsole24ore.com l'ex fuoriclasse del kayak -. Sono entrato in Finanza nel 1988 senza alcun tipo di esperienza in Nazionale e gli allenatori del gruppo sportivo mi hanno indicato la strada da seguire per raccogliere risultati importanti. E poi, certo, devo ammettere che fare parte di un gruppo militare ti permette di avere una sicurezza economica sia durante l'attività sportiva, ma anche per il futuro. Nel senso che una volta chiusa la carriera, puoi generalmente decidere di rimanere per proseguire il lavoro come tecnico".

Ecco, ma se il posto da tecnico non c'è?
"Beh, nel caso si può chiedere il trasferimento per lavorare vicino a casa e a tutti gli effetti si diventa un componente del corpo di cui si fa parte".

Si parlava di sicurezza economica, a quanto ammonta lo stipendio che viene riconosciuto agli atleti in forza ai gruppi sportivi militari?
"Per le Fiamme gialle, si tratta dello stipendio base, che va dai 1200 ai 1400 euro al mese. Se vinci, arriva anche la borsa di studio del Coni, che è comunque un di più. E alcune federazioni sportive decidono anche di dare del denaro agli atleti su cui vogliono investire".

E' un approccio tutto italiano, o quasi...
"In Germania hanno un'organizzazione simile, ma ci sono altri casi in giro per il mondo. Anche se forse le cose non vanno bene come in Italia".

E dunque, tanto per ritornare alla domanda iniziale, lei crede che senza i gruppi sportivi militari, l'Italia dello sport sarebbe sicuramente messa peggio?
"Direi di sì. Un conto è quando vinci, un conto è quando inizi. Il contributo che viene investito per gli atleti significa tanto per un ragazzo che vuole allenarsi come si deve e non vuole gravare sulla famiglia. L'aiuto economico è essenziale, questo è certo".

Tuttavia, per alcuni i gruppi sportivi militari sono realtà molto vicine alle società sportive semiprofessionistiche, con tanto di passaggi di atleti da un gruppo all'altro...
"Sì, sono d'accordo. Bisognerebbe impedire campagne acquisti per meglio figurare nel medagliere. Ci vorrebbe un coordinamento, altrimenti non ha senso. Il gruppo sportivo militare investe sull'atleta e sulla sua preparazione e non trovo giusto che l'atleta dica sì a un trasferimento soltanto per guadagnare 200 o 300 euro in più al mese".

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