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Questo articolo è stato pubblicato il 16 agosto 2012 alle ore 18:46.

I piani dell'attacco che Israele avrebbe messo a punto contro i siti atomici e le difese strategiche iraniane rivelato ieri dal blogger israelo-americano Richard Silverstein svela in realtà ben pochi segreti. Silverstein ha pubblicato sul suo sito Tikun Olam ("Riparare il mondo" in ebraico) un estratto di un dossier che gli sarebbe stato dato da una fonte israeliana di alto livello che a sua volta l'ha ricevuto da un ufficiale delle Forze di Difesa israeliane. La fonte israeliana avrebbe fatto filtrare il piano segreto perché «questi non sono tempi normali e temo che Bibi e Barak (il premier Netanyahu e il ministro della Difesa israeliani) facciano maledettamente sul serio».

Dichiarazioni che sostengono le proteste di quanti in Israele vogliono impedire azioni militari come i 400, fra i quali due professori di diritto, che oggi hanno firmato una petizione online per chiedere ai piloti dell'aviazione israeliana di rifiutarsi di obbedire se verrà ordinato loro il bombardamento degli impianti nucleari iraniani poiché un attacco ad impianti nucleari porterebbe alla dispersione di materiale radioattivo fra la popolazione civile e «Israele come chi ha effettuato materialmente il raid potrebbero essere accusati di crimini di guerra». Teheran non aiuta certo i pacifisti israeliani. Oggi la Guida suprema iraniana Alì Khamenei, ha definito Israele una «escrescenza artificiale in Medio Oriente destinata a scomparire».

Sul pano militare quanto rivelato da Silverstein non costituisce nulla di nuovo rispetto alle notizie già ampiamente illustrate e ai piani previsti da diversi analisti e pubblicati in passato. In pratica si tratterebbe di una riedizione, con armi più moderne, di quanto attuato da statunitensi e alleati contro l'Iraq nel 1991 e 2003 o contro la Serbia nel 1999.

Il dossier rivela un piano di attacco in quattro fasi: nella prima si ricorrerebbe alla tecnologia più sofisticata per annientare tutti i sistemi di comunicazione: reti informatiche, telefoni, radio, tv, le comunicazioni satellitari e le connessioni in fibra ottica degli apparati strategici e governativi che linkano i centri del potere con i siti atomici e le basi missilistiche sotterranee dei missili balistici Shahab 3 di Khorramabad e Isfahan.

La paralisi di queste infrastrutture, ottenuta con incursioni di guerra elettronica e cibernetica, impedirebbe all'Iran di gestire la difesa aerea e la rappresaglia, cioè di coordinare una risposta attaccando Israele con missili balistici a testata chimica. La seconda fase prevede il lancio di decine di missili balistici Jericho, armi nate per portare in volo le atomiche israeliane ma modificati (come hanno fatto anche gli statunitensi con armi simili) per portare una tonnellata di alto esplosivo convenzionale e dotati di penetratore per raggiungere la profondità di qualche decina di metri sotto il suolo prima di esplodere. Armi anti-bunker per distruggere i laboratori e le basi sotterranee iraniane.

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