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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2012 alle ore 21:00.

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Spiega, Mario Monti, che la sua esperienza di premier è stata solo «un imprevedibile istante», sottolineando bene il termine «istante», ovvero momentaneo, non ripetibile. È un modo diverso per esprimere quanto disse alcuni giorni fa quando affermò la convinzione che le forze politiche fossero in grado di individuare un leader capace di guidare il governo dopo le elezioni. Quanto davvero questa certezza sia solida non è dato saperlo.

Ottimismo e attacchi
Nel suo discorso al meeting di Cl, il presidente del Consiglio preferisce abbandonare il discorso preparato per l'occasione e procedere a braccio. Ed è un intervento d'attacco venato però d'ottimismo quello che pronuncia, sia pure con il tono compassato che gli italiani hanno imparato a conoscere. Il premier si sbilancia. Sostiene che l'uscita dalla crisi è più vicina. Poi attacca, trovando il consenso della platea dei giovani, moltissimi e dei meno giovani dentro e fuori l'auditorium della fiera riminese. Scatta l'applauso quando rilancia la lotta all'evasione fiscale, annunciando di voler chiedere alla Rai di non utilizzare più nei Tg il termine bonario e concessivo di «furbi» nei confronti di modelli che sono «distruttivi» per il Paese.

Generazione perduta
Il premier ricorre all'espressione «generazione perduta» - la crudezza a volte è necessaria - per rimarcare le responsabilità di chi lo ha preceduto, di quanti non hanno onorato gli impegni verso i giovani, verso chi allora non votava ancora o non era neppure nato e ricorda che proprio a un meeting riminese a un leader sindacale che annunciava lo sciopero generale contro la riforma delle pensioni, lui, Monti, replicò incitando allo «sciopero generazionale». E attacca anche quando sostiene che un anno fa eravamo assai più in crisi di oggi, anche se la percezione era diversa perché occultata sotto «la polvere, la parvenza di stabilità e benessere» che invece «non esisteva».

Il miracolo della strana maggioranza
Quello del presidente del Consiglio ancora una volta è un discorso improntato all'assuzione di responsabilità, quella che riconosce ai partiti della maggioranza, un vero e proprio «miracolo», che consente di avere «speranza» nel futuro. La stessa speranza che va nutrita nei confronti dell'Europa. È l'Europa quella che a volte - ammette Monti - «si presenta "arcigna", che ci ha spinto sulla strada di quelle riforme attraverso le quali possiamo pensare di offrire un futuro alle prossime generazioni». L'Euro non è solo un tecnicismo - sostiene il premier - che ricorda come prima dell'avvento della moneta unica i governi italiani (e non solo) non si preoccupavano di produrre annualmente disavanzi a due cifre. Il premier sottolinea quanto oggi in ogni Paese stia emergendo un fronte populista e demagogico antieuropeo, e quanto sia pericoloso «l'appiattimento delle decisioni politiche al brevissimo periodo».

Il mito europeo di De Gasperi
Cita De Gasperi e il «mito» dell'Europa evocato dall'allora presidente del Consiglio in un discorso al Senato del 1950: «Se volete che un mito ci sia, ditemi un po' quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporto di Stato e Stato, l'avvenire della nostra Europa, l'avvenire del mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l'Unione? Volete il mito della dittatura, il mito della forza, il mito della propria bandiera, sia pure accompagnato dall'eroismo? Ma noi allora creeremo di nuovo quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io vi dico che questo mito è mito di pace; questa è la pace, e questa è la strada che dobbiamo seguire...». Ma cita anche Robert Schumann, il ministro degli Esteri francese, che sempre nel '50, solo cinque anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, proponeva l'accordo economico con la Germania. Monti guarda indietro per trovare le parole che consentano all'Italia e all'Europa di guardare avanti. I prossimi appuntamenti ,a Bruxelles come a Roma, confermeranno se queste parole sono ormai un anacronismo.

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