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Questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2012 alle ore 06:37.

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MADRID
La Catalogna si è infine piegata e ha chiesto aiuto al Governo centrale. Ma non accetterà condizioni in cambio del bailout. Nonostante il costo politico dell'operazione, il Governo autonomo non aveva scelta: ha bisogno di 5,02 miliardi di euro per onorare i bond in scadenza nei prossimi mesi. Schiacciata da un debito di 42 miliardi di euro, il 21% del suo Pil, la regione - con un'economia pari a quella del Portogallo, un tempo in crescita a ritmi impetuosi - ha comunicato ieri che ricorrerà al fondo speciale di liquidità creato da Madrid (in tutto 18 miliardi) seguendo le orme della comunità di Valencia e della Murcia. A luglio erano stati sospesi i pagamenti dei salari a dipendenti di ospedali e case di riposo e a dare ossigeno non è bastato il taglio degli stipendi pubblici né l'introduzione della tassa di un euro per ogni prescrizione medica, né il congelamento degli investimenti.
Con la domanda di aiuto, l'autonomia di cui i catalani vanno tanto fieri rischia di subire un duro colpo: in occasione dei precedenti bailout il Governo ha chiesto aggressivi piani di rientro dal deficit, mal digeriti dalle comunità autonome. Per questo ieri il portavoce del presidente regionale catalano Arthur Mas ha specificato che Barcellona accetterà l'assistenza soltanto se «non ci saranno condizioni politiche annesse», perché chiedere «un salvataggio all'Europa e ricorrere allo Stato spagnolo sono due cose diverse. I soldi che chiediamo sono quelli che versano a Madrid i catalani e che amministra il Governo spagnolo». Parole che alzeranno la tensione con l'Esecutivo di Mariano Rajoy dopo che la Catalogna a fine luglio ha boicottato una riunione sugli obiettivi di budget.
Ai toni spigolosi ha replicato Rajoy in persona, impegnato a Madrid in un incontro con il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy: «Il Governo aiuterà la Generalitat della Catalogna come già fatto in molte altre occasioni; non è il momento di fare polemiche ma di risolvere i problemi». La notizia della richiesta di salvataggio non poteva arrivare in un momento più delicato, che vede il premier popolare impegnato a discutere con la Ue le condizioni per gli aiuti fino a 100 miliardi alle sue banche (in realtà ne serviranno 62, sembra). Van Rompuy ha ribadito che l'Unione è «pronta a intervenire con breve preavviso per salvaguardare la stabilità finanziaria» della Spagna, lasciando intendere che manca davvero poco al versamento della prima tranche sempre che Madrid metta a punto il piano di ristrutturazione degli istituti di credito e avanzi la richiesta formale. Il premier spagnolo ha poi smentito che sia in corso un negoziato per il salvataggio sovrano.
La Spagna, ha aggiunto Van Rompuy, ha messo a punto «misure coraggiose e ambiziose», ampie riforme di bilancio e strutturali che vanno tuttavia «attuate pienamente». Un compito sempre più arduo per il Paese, avvitato in una recessione senza tregua. Proprio ieri l'istituto di statistica ha reso noto che il Pil spagnolo si è contratto, tra aprile e giugno, per il terzo trimestre consecutivo: -0,4% rispetto ai tre mesi precedenti e -1,3% su base annua, un dato peggiore rispetto alle stime preliminari. Peggiorata anche la lettura dei risultati 2011 e 2010: l'anno scorso la crescita è stata dello 0,4% (non dello 0,7) e quello prima il Pil ha segnato un -0,3 (contro una stima di -0,1). A colpire è soprattutto la contrazione dei consumi delle famiglie che nel 2011 sono scesi dell'1% e non dello 0,1% come stimato. Un trend destinato ad aggravarsi: tra aprile e giugno 2012 la spesa delle famiglie è crollata del 2,2% su base annuale, rispetto all'1,5% del primo trimestre.
A rendere ancor più difficile la situazione ci pensa la fuga di capitali: proprio ieri la Banca centrale ha reso noto che i depositi bancari hanno subito un crollo nel mese di luglio di 74,2 miliardi di euro, pari al 4,6% rispetto allo stesso mese del 2011, la più massiccia fuga di depositi privati dal lancio dell'euro.
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