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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2012 alle ore 11:56.

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La mia prima conoscenza con l'opera del cardinale Joseph Ratzinger rimonta alla fine degli anni Sessanta. Erano anni di grandi turbolenze spirituali e culturali. Mi trovavo in ritiro in una casa ospitale nella Selva Nera e cercavo di preparare una conversazione che avrei dovuto tenere in Italia a un gruppo di sacerdoti. Mi aspettavo, come era d'uso a quel tempo, molte domande, contestazioni, difficoltà. Ero alla ricerca di un qualche libro che mi aiutasse a mettere giù le idee in modo chiaro e sereno. Fu così che ebbi tra le mani il testo tedesco della Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger, uscita poco prima (1968).

Ricordo ancora oggi il gusto con cui lessi quelle pagine. Mi aiutavano a chiarire le idee, a pacificare il cuore, a uscire dalla confusione. Sentivo che venivano da qualcuno che aveva a lungo meditato sul messaggio cristiano e lo esponeva con sapienza e dolcezza. Conservo ancora oggi quegli appunti. Fu in particolare da quella lettura che ritenni il tema del «forse è vero» con cui si interroga l'incredulo, e che mi guidò poi per realizzare la «Cattedra dei non credenti».

In quel decennio avevo avuto un'altra occasione di incontrarmi, questa volta in maniera più personale, con l'allora professor Ratzinger. Mi trovavo a Münster per una ricerca sulla critica testuale, e partecipavo saltuariamente ad alcune altre lezioni nell'Università. Fu così che, alla vigilia della festa del Corpus Domini, andai ad ascoltare una lezione del professor Ratzinger. Aveva proprio come tema l'Eucaristia e l'adorazione eucaristica, e fece dei riferimenti alla grande processione cittadina che si sarebbe tenuta il giorno seguente. Mi colpì la pertinenza, la delicatezza, la chiarezza e il coraggio delle sue asserzioni. Avevo davanti a me un grande cattedratico che non temeva di fare dei riferimenti alla vita concreta e agli eventi di una Chiesa locale.

Un terzo momento di conoscenza più diretta fu durante il Sinodo sulla famiglia del 1980, di cui il cardinale Ratzinger fu il relatore. Per un mese intero potei osservarlo nel l'aula sinodale, vedere con quanta attenzione ascoltava i discorsi che si facevano e con quanta pertinenza interveniva e rispondeva. Mi colpì il fatto che, in un momento particolarmente delicato dei lavori sinodali, confessò con semplicità che, avendo lavorato fin tardi nella notte seguente, non era riuscito di fatto a mettere insieme il testo che ci si aspettava, e così chiedeva di rimandare il suo intervento. Non sapevo se ammirare di più la sua saggezza o la sua sincerità. Era stato molto prudente nel non affrettare le conclusioni su un problema difficile e insieme aveva avuto il coraggio di riconoscere che il gruppo di lavoro non era ancora riuscito a terminare il suo compito.

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