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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2012 alle ore 14:39.
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Riprenderà martedì alla Corte suprema di Nuova Delhi il procedimento giudiziario che dovrà autorizzare o meno il processo in Kerala ai due fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, bloccati in India (prima in regime di detenzione poi in libertà su cauzione) dal 15 febbraio scorso. Nella delegazione italiana che affianca i due militari sembra circolare un cauto ottimismo circa l'esito del ricorso presentato al più alto tribunale indiano contestando la giurisdizione di Nuova Delhi su un episodio accaduto fuori dalle acque territoriali indiane. Dopo tanti ritardi e rinvii si spera che una sentenza possa venire emessa entro metà settembre. La decisione della Cote Suprema stabilirà quindi se Latorre e Girone dovranno rispondere esclusivamente alla giustizia italiana e potranno quindi rientrare in Italia oppure se prenderà il via il processo in Kerala, già istruito dal tribunale di Kollam, dove la sentenza di colpevolezza sembra già scritta grazie anche a "prove" discutibili quando non apertamente manipolate. Al dibattimento hanno assistito due membri dell'Avvocatura dello Stato italiano, Carlo Sica e Giacomo Aiello, gli stessi che l'8 marzo scorso si erano recati a Trivandrum per rafforzare la difesa dei due fucilieri.
Nelle arringhe tenute la scorsa settimana dagli avvocati dei militari italiani e della giustizia indiana sono emersi tutti i differenti "punti di vista" circa i quali la Corte Suprema è chiamata a pronunciarsi.
Un team di 9 legali del noto studio Dilijeet Titus & Co difende Latorre e Girone, tra i quali Harish Salve definito in un documentato articolo di Lettera 43 "il migliore del subcontinente indiano". In aula Salve ha insistito soprattutto su due aspetti. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (firmata anche dall'India) si applica perfettamente al caso dell'incidente che ha coinvolto la petroliera italiana Enrica Lexie il 15 febbraio poiché l'articolo 97 concede al Paese cui appartiene la bandiera dell'unità coinvolta in un incidente in alto mare il diritto di processare eventuali responsabili di reati che si trovano a bordo. "Qui non c'è giurisdizione indiana" ha detto Salve all'Ansa anche perché ''le leggi indiane sono sottoposte alla Convenzione e l'incidente è avvenuto in acque contigue e non territoriali''. In termini di diritto marittimo le acque territoriali giungono fino a 12 miglia dalla costa, quelle contigue si estendono da 12 a 24 miglia oltre le quali iniziano le acque internazionali e l'incidente è avvenuto a 22 miglia dalla costa. La tesi di Salve è contestata dall''avvocato dello Stato indiano, Gaurav Banerjee. "Siamo convinti di aver esercitato correttamente la nostra giurisdizione e pensiamo che le iniziative adottate dalle autorità del Kerala siano state quelle giuste''. Rivolto al presidente del tribunale, Altamar Kabir ha dichiarato che "l'invocato articolo 97 della Convenzione che riguarda gli incidenti della navigazione non si applichi al caso di presunto omicidio'' come quello che riguarda la morte dei due pescatori indiani. Sulla questione della giurisdizione, Banerjee ha poi citato un testo del professor Natalino Ronzitti, uno dei più illustri giuristi italiani docente della Luiss di Roma che, pur sostenendo la tesi italiana spiega le possibili ragioni indiane. Dopo aver sottolineato che la petroliera è stata fatta entrare nel porto di Kochi con un artifizio, Ronzitti riflette sul fatto che "in questo caso le corti di 'common law', incluse le ex colonie britanniche, applicano il principio ‘bene captus male detentus', cioè giudicano pur se la cattura è avvenuta in violazione di leggi internazionali''.
Per Banerjee l'India può applicare ''la giurisdizione passiva, poiché i due pescatori uccisi erano di nazionalità indiana e la nave su cui si trovavano era indiana'' poiché "le leggi indiane obbligano lo Stato a tutelare i cittadini indiani anche fuori dalle acque territoriali, e particolarmente nelle acque contigue".
Il secondo punto su cui è incentrata la posizione italiana si basa sul fatto che i due fucilieri erano in militari in missione per conto dello Stato italiano e quindi non possono essere processati da altri Paesi né tanto meno dalla giustizia civile. "I marò godevano di una immunità totale derivata dalla funzione di protezione della nave loro affidata dallo Stato italiano" ha detto Salve . A questo proposito vale la pena aggiungere che nel 2010 alcuni militari indiani assegnati alla missione dell'Onu in Congo vennero accusati di violenze e sfruttamento sessuale di minori reato per il quale vennero rimpatriati e giudicati in India.
Banerjee ha risposto citando numerosi testi in base ai quali l'India ''non è obbligata'', in un caso come quello della Enrica Lexie, a riconoscere l'immunità funzionale dei due militari italiani. "A differenza della tesi dei legali dell'Italia noi continuiamo a considerare che l'incidente è stato prodotto da una nave commerciale e che quindi la sicurezza a bordo non era un'estensione dello Stato italiano su di essa''.
Al termine della seduta del 30 agosto l'avvocato Salve ha ottenuto di poter replicare in apertura all'udienza del 4 settembre, prima dell'intervento dell'avvocato che difende gli interessi dello Stato del Kerala.
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