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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2012 alle ore 08:12.

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A vent'anni dall'arresto di Mario Chiesa, in Italia si discute del supposto ruolo americano in Mani Pulite. A scatenare il dibattito l'intervista postuma all'ex ambasciatore a Roma, Reginald Bartholomew su La Stampa. Il Sole 24 Ore ha voluto sentire il diplomatico americano che più di ogni altro ha seguito la vicenda, Daniel Serwer, dal 1990 vice-ambasciatore sotto Peter Secchia. Dal gennaio '93, fino a poco prima dell'arrivo di Bartholomew, diresse la missione Usa come incaricato d'affari.
Quello che Bartholomew ha detto a la Stampa è stato interpretato da alcuni come la conferma di uno scenario dietrologico che circola da tempo: alla fine della Guerra Fredda, stanca dei democristiani e preoccupata per la politica filo-araba di Craxi, Washington avrebbe sponsorizzato l'inchiesta del pool di Milano di Mani Pulite.
Mi permetta di rispondere parola in inglese. Nel più diplomatico dei toni: bullshit!
Quindi non è vero?
Bartholomew ha solo parlato di possibili abusi di diritti civili nell'indagine.
Ma l'ex console Usa a Milano, Peter Semler, dice di essere stato informato delle intenzioni di Di Pietro mesi prima dell'arresto di Mario Chiesa.
Semler aveva il compito di seguire da vicino quello che accadeva a Milano. E Mani Pulite accadeva a Milano. Ma se avesse scoperto i piani di Di Pietro lo avrebbe comunicato in ambasciata. Ma io ricordo che avevamo le stesse informazioni dei lettori dei giornali italiani.
Che lei sappia, nel periodo 92-93 c'è mai stata da parte di Washington l'intenzione di aiutare i magistrati a smantellare la leadership politica?
Assolutamente no. Sul piano giudiziario, se i magistrati di Milano avessero chiesto cooperazione gliela avremmo certamente fornita. Ma non l'hanno mai chiesta. Sul piano politico siamo semmai rimasti a contatto con quegli stessi politici di Roma sotto inchiesta a Milano. Decidemmo che gli avvisi di garanzia non erano sufficienti a giustificare l'interruzione dei rapporti. E così facemmo. E l'ambasciatore Secchia, più di me, ha mantenuto fino all'ultimo rapporti molto stretti con loro. In particolare con Gianni De Michelis.
Possibile che Bush o Clinton abbiano deciso di sponsorizzare Mani Pulite e che lei non ne sia stato informato?
Non c'è mai stata anche la più minima indicazione di un interesse da parte di Washington a spingere in quel senso.
Bartholomew ha accusato Mani Pulite di aver violato i diritti degli imputati. Un giudizio che condividevate?
Avemmo discussioni sulla carcerazione preventiva. Ma era una questione tutta italiana. Per noi stava agli italiani decidere se spingere o frenare.
Ha incontrato Di Pietro?
Chiesi un appuntamento e mi fu risposto di contattare il procuratore. Andai a parlare con il procuratore - mi pare fosse Borrelli - che mi spiegò le procedure. Ma disse di non poter discutere di casi specifici.
Nel febbraio 1993 si dimisero Craxi da segretario del Psi e Martelli da Guardasigilli. Per voi fu motivo di celebrazione? O di preoccupazione?
Non ricordo celebrazioni. Ritenevamo Craxi più filo-arabo di quanto avremmo desiderato. E nessuno si era dimenticato di Sigonella. Ma Craxi era un fattore importante nella stabilità dell'Italia. Tutti gli ambasciatori cercarono di avere buoni rapporti con lui, incluso Secchia. E Martelli era apprezzato come ministro.
Rispetto ai leader francesi o tedeschi, come erano visti Andreotti e Craxi?
I politici italiani non sono stati mai ritenuti sullo stesso piano dei francesi o tedeschi per un motivo: Roma cambiava governi in continuazione. L'unico nostro desiderio era che ci fosse lo stesso governo per tre anni. Chiunque fosse.
Beh, a lungo c'è stato il veto per i comunisti.
Fino al 1989. Dopo il crollo del muro non aveva più senso. Chiesi subito di normalizzare i rapporti. Per un anno me lo negarono, ma poi mi dettero l'ok.
Nel 1992 vennero uccisi Falcone e Borsellino. In ambasciata ci fu mai il timore che il crimine organizzato potesse destabilizzare il Paese?
Fu un duro colpo anche per noi. Ma timori per la stabilità del paese non li ricordo.
Lei ha conosciuto personalmente Falcone o Borsellino?
Ho cenato con Falcone due giorni prima che venisse ucciso. Era diventato dirigente del ministero di un governo Andreotti e gli chiesi se la cosa lo faceva sentire a suo agio. Mi disse di sì, e spiegò che le colpe a suo giudizio erano di omissione e non di commissione. E mi pare che la giustizia abbia raggiunto la stessa conclusione.
cgatti@ilsole24ore.us

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