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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2012 alle ore 06:37.

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CHARLOTTE. Dal nostro inviato
«Yes, we plan». I delegati della Convention democratica sono stati accolti da decine e decine di militanti in t-shirt rosa di Planned Parenthood, la più importante delle associazioni americane che fornisce servizi di «salute riproduttiva» (formula politicamente corretta per evitare di dire che aiuta le donne ad abortire). La maglietta rosa dei filo-abortisti gioca sullo slogan 2008 di Barack Obama, «yes we can», per ricordare che sì, loro «pianificano la condizione di genitore» (altra metafora in neolingua orwelliana). Il programma ufficiale del Partito democratico, approvato ieri mattina, conferma che gli obamiani, al contrario degli avversari conservatori, sostengono in modo inequivoco la sentenza della Corte Suprema "Roe contro Wade" del 1973 che garantisce alle donne il diritto di abortire in modo «legale e sicuro» (ai tempi di Clinton nel programma si diceva che l'aborto oltre a essere «legale e sicuro» doveva essere anche «raro», qui no).
La Platform approvata ieri è contraria a ogni limitazione del diritto di scelta della donna, compresa la pratica dell'aborto tardivo, o partial birth abortion, vietato in quasi tutto il mondo (e dal 2003 anche in America con voto bipartisan e conferma della Corte Suprema). Un incontro con due deputati democratici anti abortisti ha provato a spiegare come si possa conciliare essere pro life in un partito radicalmente pro choice. Ma non c'è via d'uscita: aborto e diritti delle donne sono il centro emotivo del Partito democratico.
Se i repubblicani sono accusati di essere il partito della grande minoranza bianca, il partito di Obama è un rumoroso arcipelago di piccole minoranze e di gruppi di interesse, specialmente in questa fase di appannamento dell'immagine del presidente.
L'unità del partito, ha scritto ieri il New York Times, si fonda sul timore che i repubblicani possano riconquistare la Casa Bianca e adottare un programma che smantelli il welfare state costruito negli anni Sessanta più che, come era accaduto quattro anni fa, sulla fiducia nelle capacità di Obama o in una sua visione coerente della società. La sinistra del partito considera Obama troppo incline al compromesso e piegato agli interessi di Wall Street, ma i moderati temono che abbia indispettito la business community e allontanato gli elettori indipendenti. Il presidente, chiedendo aiuto a Clinton, proverà a riscrivere la sceneggiatura di queste elezioni, ma intanto si è affidato ai caucus, all'usato sicuro delle tante comunità che costituiscono la spina dorsale del partito. Neri e ispanici; donne, gay e abortisti; sindacati e indignati contro Wall Street; sono questi i pilastri del Partito democratico, ma anche vantaggi competitivi sui repubblicani. «Se sei un martello pensi che ogni cosa sia un chiodo – ha sintetizzato con un paragone ardito ma efficace la stratega repubblicana Mary Matalin, moglie dell'architetto delle vittorie clintoniane James Carville – se sei un liberal pensi che tutto giri intorno alla razza, all'identità sessuale e alla classe».
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