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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2012 alle ore 06:39.

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ROMA
Il tribunale del Riesame di Roma ha confermato il carcere per il senatore Luigi Lusi. Nell'udienza svoltasi il 31 agosto i pubblici ministeri si erano detti favorevoli alla concessione degli arresti domiciliari. Ma ieri il riesame ha ribadito che l'ex tesoriere della Margherita deve restare rinchiuso a Rebibbia. La sentenza arriva dopo la pronuncia della Corte di Cassazione che aveva annullato, con rinvio, la decisione del tribunale della libertà sulla custodia carceraria per Lusi.
Secondo gli inquirenti gli arresti domiciliari si sarebbero potuti svolgere in un convento abruzzese. I difensori del parlamentare, gli avvocati Luca Petrucci e Renato Archidiacono, non avevano formalizzato l'istanza al giudice delle indagini preliminari in attesa della decisione del Riesame. Lusi è in cella a Rebibbia dal 20 giugno scorso, dopo il via libera al suo arresto pronunciato dall'aula del Senato. Il senatore è accusato, assieme ad altre persone tra cui anche la moglie Giovanna Petricone, di associazione a delinquere finalizzata all'appropriazione indebita. Nel corso dell'indagine il senatore è apparso «ambiguo, reticente e volutamente confuso» scrive il tribunale del Riesame, presieduto da Renato Laviola, nelle motivazioni.
Secondo il tribunale la richiesta di scarcerazione o di arresti domiciliari avanzata dai difensori di Lusi non può essere accolta anche perché sussiste «il pericolo di inquinamento delle prove». Nel provvedimento di motivazioni in cinque pagine i giudici scrivono che nel corso dei suoi interrogatori con i magistrati Lusi «non ha mostrato alcuna resipiscenza». L'ex tesoriere della Margherita, insomma, non avrebbe fornito ai pm alcun aiuto per la ricostruzione dei fatti. Alla luce di questo quadro indiziario i giudici scrivono che «non c'è allo stato un luogo alternativo al carcere» che possa impedire l'inquinamento delle prove.
La decisione di ieri in un certo senso sembra consolidare l'impianto accusatorio dei pm di Roma. Le loro indagini proseguono su altri due milioni di assegni liberi. Al momento gli inquirenti avrebbero tracciato oltre 25 milioni di euro usciti dalla casse della Margherita e finiti nella disponibilità di Lusi. I pubblici ministeri nel giro di qualche settimana dovrebbero concludere gli accertamenti con il deposito degli atti. Il procuratore aggiunto Alberto Caperna e il pm Stefano Pesci attendono che il consulente consegni la relazione definitiva sui soldi che sono stati sottratti alla Margherita.
«Si ha la sensazione che la misura in corso non rappresenti null'altro che una sorta di esecuzione anticipata della pena prima del processo» hanno affermato in una nota i difensori di Lusi. Per i legali il Riesame ha ritenuto la sussistenza delle esigenze cautelari «senza indicare in concreto alcun elemento di fatto che possa, in qualche misura, dimostrare la necessità di mantenere la misura in corso. Il ragionamento del tribunale - dice la nota - introduce un pericolosissimo principio in base a quale dovrebbe essere l'indagato a fornire elementi che possano dimostrare l'insussistenza di qualsivoglia esigenza cautelare».
Aggiungono gli avvocati che il tribunale della libertà ha «addirittura affermato l'attualità del pericolo di fuga nonostante il senatore abbia da tempo depositato in procura il suo unico passaporto». Intanto Francesco Rutelli, per il quale «nessuno può rallegrarsi della detenzione in carcere di un'altra persona», annuncia: «Inizieranno adesso, da parte delle vittime, le attività per il risarcimento dei danni» visto che emergerebbe la «chiarezza inequivocabile» delle «attività di calunnia, di inquinamento delle indagini e depistaggio mediatico» e anche delle «attività di associazione per delinquere e ruberie di cui è stata vittima la Margherita».
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