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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2012 alle ore 06:40.

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«Mi accusano di avere pochi contenuti e di essere tutta comunicazione? Vedessero qui...», Matteo Renzi in trasferta lampo alla Convention democratica di Barack Obama è felice come un bambino al Luna park (ma non ditelo a D'Alema) davanti al grande spettacolo della politica americana. Renzi è venuto a vedere da vicino il sistema che gli piacerebbe fosse adottato dal suo partito, oltre che a consolidare rapporti internazionali con leader di centrosinistra e sindaci democratici.

Si capisce che è rimasto infatuato dalla straordinaria professionalità della macchina organizzativa della Convention perché sembra non volersi perdere nessun particolare politico, scenografico e narrativo importabile in Italia.

Renzi si ferma per strada per verificare tessuto, consistenza e tenuta degli striscioni obamiani, si informa sul funzionamento dei gobbi elettronici e sul lavoro degli speechwriter che aiutano gli oratori a non andare fuori messaggio, prende nota di battute, pause e complessità dei discorsi che ha ascoltato.

«Ho provato una forte emozione – dice – noi su queste cose siamo indietro di 20 anni». Il sindaco di Firenze si è appassionato in particolare alla vitalità del governatore dell'Ohio Ted Strickland e alla teatralità dell'intervento del sindaco di San Antonio Julian Sanchez, suo coetaneo, cui Obama ha affidato il discorso più politico della Convention senza che nessun padre nobile del partito se la sia presa a male. E poi Michelle Obama, un modello di presentazione privata e familiare che in Italia non è mai stato adottato. Almeno finora.

Renzi pensava di prendersi 36 ore di pausa dalla politica italiana, in attesa del grande evento di lancio della sua candidatura alle primarie del Pd giovedì a Verona, ma una volta arrivato a Charlotte è stato travolto dal fuoco incrociato delle critiche dell'establishment del suo partito (D'Alema, Fioroni, Bindi) e dalla notizia che secondo un sondaggio Piepoli-SkyTg24 sarebbe in vantaggio su Pierluigi Bersani nelle preferenze sia degli italiani sia degli elettori di centrosinistra. Le due cose non sono scollegate, ha scherzato Renzi, «più mi attaccano, più arrivano adesioni».

Dopo aver seguito la prima giornata della Convention ospite della Fondazione Kennedy, Renzi è stato costretto dalle polemiche italiane, e dall'insistenza dei giornalisti, a improvvisare una conferenza stampa prima di un pranzo con lo stratega democratico John Podesta e con l'inglese David Miliband.

Renzi ha recitato la consueta, e ormai nota, parte: penso che le primarie siano l'essenza del Partito democratico, chi le mette in discussione è fuori dalla realtà, Bersani le ha promesse e gli credo; facciamole, dividiamoci sui contenuti; ridurre le tasse in Italia oggi è una cosa di sinistra; io punto sul serio a vincere, se perdessi tornerei a fare il sindaco e non vorrei compensazioni o seggi da parlamentare; gli inciuci e le manovre parlamentari per diventare premier appartengono semmai alla cultura politica di D'Alema; giovedì presenterò ancora una volta il mio programma che consiste nel mandare a casa chi in 20 anni di Parlamento ha già fatto quello che doveva fare, anche se il ricambio generazionale da solo non basta; il nostro compito è quello di non rimandare più le scelte che la generazione precedente non ha fatto e che noi adesso paghiamo; l'antipolitica di Grillo non si combatte dandogli di fascista, ma attuando un ricambio, dimezzando i parlamentari, riformando il bicameralismo perfetto, cancellando i vitalizi ai consiglieri regionali (alcune risposte, giudicate vaghe e non da candidato premier, non sono piaciute agli inviati di Repubblica e dell'Ansa e i toni si sono scaldati un poco).

L'ultima battuta è stata sul Grande Accordone che secondo uno scoop del Foglio, confermato ieri da Repubblica ma smentito da Bersani, i leader del Pd avrebbero trovato per spartirsi preventivamente i posti di potere post elettorali. Renzi ha provato a misurare le parole. Ci ha pensato e ripensato. E poi ha detto: «Spero che questo patto non esista, ma se esistesse faremo di tutto per neutralizzarlo con le primarie». Sempre che le facciano.

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