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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2012 alle ore 08:14.

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Il giorno dopo, il Barack Obama "magic" è svanito. Certo, l'altra sera nel discorso che ha chiuso la convention democratica il presidente ha fatto meglio di Mitt Romney. Ha mobilitato la base. Ha dato energia nella parte finale. Ma fin dall'inizio e nella parte centrale del discorso mancava la grinta, è mancata una novità, una contrapposizione articolata con i repubblicani, ad esempio un riferimento più concreto alla riforma sanitaria. Vero, ci aveva pensato il giorno prima Bill Clinton. Ma è lui, è Obama, che deve essere eletto e incalzare direttamente Romney su tematiche "difficili" come sanità ed economia. Invece Obama si è rifugiato in accenni generici e in battute. Come quella su Romney che a Londra, alle Olimpiadi «è riuscito a offendere il nostro più importante alleato».
A Charlotte insomma, è mancata la concretezza che avrebbe potuto riscattare Obama dalle accuse di essere tutto immagine e parole, e poca preparazione. Promettere di assumere 100mila nuovi insegnanti di matematica e scienza è un'ottima idea, ma "come" lo si farà? Specialmente ora che il disavanzo incombe e che, come ha detto Obama, lo si dovrà ridurre di 4mila miliardi di dollari in dieci anni?
Come ha scritto il commentatore di Time, Joel Klein, «a Charlotte Obama avrebbe potuto chiudere la partita, ma non c'è riuscito». E David Brooks, del New York Times, osserva: «Sarebbe bello poter raddoppiare le esportazioni, ridurre gradualmente i disavanzi nei prossimi 10 anni, ma questi obiettivi forse sono raggiungibili da tutti, non richiedono grandi cambiamenti». Lo dice anche una delegata di 23 anni del Rhode Island, «non c'è stato quel contatto emotivo che dominava nel 2008...sono ottimista, ma nervosa». La sua speranza, ci confida, è che la gente «...si renda conto del pericolo cui si va incontro se dovesse vincere Romney».
Come abbiamo scritto ieri a caldo, il discorso è stato ben costruito. C'era tutto (o quasi), e c'è stata una buona divisione di responsabilità con Clinton sull'economia e con Kerry sulla politica estera, in generale la convention nel suo insieme è stata meglio di quella repubblicana. Ma un discorso normale per tempi non normali e per uno scontro molto difficile denota prudenza. L'accenno ai doveri civici, ai cambiamenti che vengono dal basso e non dall'alto, alla riforme possibili «non grazie a me ma grazie a voi» poteva essere il filo conduttore che alla fine è mancato. Obama, che ha avuto l'"audacia di sperare", l'altra notte non ha avuto l'audacia di giocare al rialzo.
Questo ci conferma che la partita per la Casa Bianca 2012 resta aperta. Le prossime settimane saranno decisive per entrambi i candidati. Poi il primo dibattito, il 3 ottobre a Denver. Il problema per Obama è che partendo da una posizione di relativa parità, si trova in svantaggio: perché è il presidente in carica dopo 4 anni di continuità della crisi, perché il suo indice di gradimento è al di sotto del 50%, perché di questi tempi chi è al potere fa più fatica o perde. Ma c'è un elemento aggiuntivo che da qualche tempo comincia prendere forma e a crescere: il carattere, la personalità di Obama. È tutto forma e poca sostanza? È davvero irascibile, freddo e arrogante nei rapporti interpersonali? Di questo abbiamo avuto modo di scrivere tempo fa. Ma ora il nuovo libro di Bob Woodward, The Price of Politics, Il prezzo della politica, rivela dettagli inediti sul comportamento del presidente. Racconta di una sfuriata incontrollata che fece a John Bohener, il presidente della Camera, del distacco con cui ha trattato donatori o personaggi importanti che invitava alla Casa Bianca, magari per vedere una partita di calcio, come Ivan Seidenberg, Ceo di Verizon, che dice di essersi sentito trattare «come un cane in chiesa».
È chiaro che il discorso dell'altra notte è stato calibrato per presentare uno statista e non arringatore di folle. Per rispondere in anticipo alle accuse secondo cui Obama capitalizza troppo su una sua retorica un po' stanca e ormai un po' vuota. Ma il risultato netto non ha funzionato. Sul piano simbolico una delle storie di Woodward racconta di un giorno del 2009 quando Obama chiamò la leadership alla Camera, Nancy Pelosi e Harry Reid, per discutere del ritiro dall'Iraq. E cominciò a parlare con loro come fosse in un comizio. La Pelosi mise il bottone muto e continuò a parlare di cose molto concrete che doveva risolvere sull'Iraq con Reid. Obama deve rendersi conto che oggi corre quel rischio con quella parte del voto che potrà confermarlo o licenziarlo dalla Casa Bianca. Basta che ritrovi l'audacia della novità. Sarebbe drammatico, se a schiacciare il bottone "muto" cominciasse a farlo l'opinione pubblica.
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