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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2012 alle ore 08:11.

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CERNOBBIO. Dal nostro inviato
Una scelta che non dipende solo dai numeri dei fondamentali del nostro paese. Ma che si incrocia anche con la situazione di incertezza politica che l'Italia sta attraversando, con il rischio che anche il voto non chiarisca la situazione. Sulla possibilità che l'Italia possa chiedere gli aiuti europei la platea di imprenditori e banchieri riunita al seminario Ambrosetti di Cernobbio si divide tra chi è convinto che l'Italia possa fare da sola, chi pensa che gli impegni presi con la Ue siano un modo per obbligare, anche dopo il voto, a proseguire l'opera di risanamento, chi lascia la porta aperta, a seconda delle situazioni che il paese dovrà affrontare nei prossimi mesi, confidando nella capacità del governo di tenere la barra dritta.
«L'Italia sono convinto che ce la possa fare da sola, grazie anche alla mossa della Bce», dice Gianni Zonin, presidente della Popolare di Vicenza e dell'omonima casa di vini. «Non so se la Spagna potrà non farlo, anche la Grecia è in una situazione molto complessa. Noi italiani siamo in difficoltà, ma meno di questi paesi. Con gli aiuti lo Stato perde sovranità, nessuno vuole farlo se non è indispensabile». Ma il governo deve agire, in particolare per aumentare la dimensione aziendale: «l'export è fondamentale per l'Italia, ma le piccole imprese non hanno la forza. Meglio investire risorse pubbliche per farle crescere piuttosto che pagare la cassa integrazione».
Di idea diversa è Massimo Brunelli, ad del fondo immobiliare Idea Fimit: «l'Italia deve chiedere gli aiuti per la stessa ragione per cui ha deciso di entrare nell'euro. Un impegno verso terzi obbligherà il paese ad avere comportamenti disciplinati come quelli che gli vengono richiesti, avremo la certezza che non solo Monti ma anche chi verrà avrà come obiettivi risanamento e crescita».
Lascia la porta aperta Nani Beccalli Falco, numero uno di GE Europa: «Se le condizioni imposte da un accordo di aiuti rende più difficile prendere le decisioni adatte per riformare l'Italia, no. Ben vengano invece gli aiuti se non viene bloccato il camino virtuoso avviato da Monti».
Tendenzialmente contrario, invece, è Nicola Volpi, ad del fondo di investimenti Permira e associati (Marazzi, Findus, Sisal): «Il paese ce la può fare. Una richiesta del genere sposterebbe l'enfasi eccessivamente sulle manovra di rigore, a danno della crescita. Oggi l'importante è che si tenga la barra dritta sull'azione intrapresa, puntando allo sviluppo. Solo in caso contrario si potrebbero considerare gli aiuti». Il problema è soprattutto la credibilità italiana, non solo sui mercati, ma anche come capacità di attrarre investimenti esteri. «L'Italia ha grandi eccellenze, in questa fase c'è una grande dicotomia tra chi ha reagito e chi invece si è ripiegato su sè stesso. Noi continuiamo, aggiunge, a guardarci intorno per investire».
Per Paolo Bertoluzzo, ad di Vodafone Italia e ceo Sud Europa, «avere l'ambizione di non chiedere gli aiuti è il modo giusto di ragionare». Dopo la mossa della Bce c'è il rischio che ci si rilassi rispetto al risanamento e la crescita: «l'urgenza dei problemi comporta determinazione. L'atteggiamento giusto è quello di Monti: teniamo la barra dritta, capire se ce la facciamo da soli e quanto costa. E poi vediamo».
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LE POSIZIONI
Gianni Zonin Presidente Banca Popolare di Vicenza
«Non so se la Spagna potrà non farlo. Noi siamo in difficoltà ma non possiamo perdere sovranità»
Paolo Bertoluzzo Amministratore delegato Vodafone Italia
«Dobbiamo avere l'ambizione di non chiedere aiuti, è il modo giusto di ragionare»

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