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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2012 alle ore 18:57.

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È un momento davvero strano questo per il ciclismo. Non sai a chi credere. A quale punto fermo agganciarti. Se stiamo andando avanti, oppure indietro come i gamberi. Alberto Contador, il fuoriclasse spagnolo, è tornato dalla squalifica di sei mesi più forte di prima. Questa domenica ha conquistato alla grande la sua seconda Vuelta d'Espana, quinto trionfo in un grande Giro, non contando le vittorie annullate al Tour e Giro 2001.

Guardando Contador, il suo viso triste che si illumina come se fosse alla sua prima vittoria, farebbe quasi piacere. Lo spagnolo ha infatti vinto meritatamente. Come sa fare lui. Con coraggio e spregiudicatezza. Dando spettacolo nella 17esima tappa, quella della discesa del Collado de Ozalba, a 53 chilometri dall'arrivo. Un attacco da incorniciare. Di quelli che piacevano a Pantani quando era Pantani, e non sapevi tutto il resto.

Per questo è meglio essere cauti. Da un lato infatti non può che far piacere che Contador, dopo aver scontato sei mesi per l'imbarazzante vicenda del clenbuterolo al Tour 2010, sia tornato in scena. Alberto, diciamolo, è l'ultimo re di uno sport che, da quasi vent'anni, dopo averli adorati, getta nella polvere i suoi condottieri. In un modo che lascia sconcertati. Come è successo nei giorni scorsi con Lance Armstrong. L'americano era il Mito allo stato puro. Non simpatico, certo. Però una pietra miliare. Non si vincono sette Tour de France, solo barando. Devi essere comunque un atleta straordinario. Un fuoriclasse da cui non puoi prescindere come Pantani.

Doping o non doping, non si cancellano atleti di questo spessore con un colpo di spugna. Poi ci sono le storie personali. Quella della malattia di Armstrong, quella della depressione finita in cocaina di Pantani. Angeli e demoni, ombre e luci.

Tutto giusto, tutto vero. Però alla fine non si capisce più nulla. E tutto si confonde annullando meriti e demeriti. Su Armstrong, ad esempio, diventa davvero difficile dare un giudizio. Adesso gli vietano perfino di correre la Chigaco Marathon, perché ha rifiutato di difendersi dalle accuse di doping di fronte all'Usada, l'agenzia statunitense antidoping. Questa maratona l'ex ciclista americano l'avrebbe fatta per promuovere la sua fondazione che raccoglie fondi per la ricerca contro il cancro.

Che severita! Che rigore! Ma prima dove erano tutti questi maestri del diritto? Perché gli hanno permesso di fare tutto quello che voleva? E non per pochi mesi. Ma almeno per un decennio. Ora sul texano esce di tutto, e alcune cose come il libro "Secret Race"di Tyler Hamilton, ex compagno di Lance ai tempi d'oro, sono davvero raccapriccianti, ammesso che siano tutte vere. E non solo per le storie di doping, pure inquietanti, ma per tutto quel sottofondo di squallore e omertà che traspare.

Più che uno sceriffo, Armstrong appare come un mafioso che un giorno usa la carota e l'altro il bastone. Minacce e lusinghe, cazziatoni e false promesse. E poi l'impunità. Tutti quei controlli superati. Ma come ha fatto? E perché hanno aspettato tanto a colpirlo? Solo perché ora è fuori dal giro? Perché muove meno soldi e business? Insomma, una storia da voltastomaco, comunque la si rigiri.

Per questo, ora che Contador è tornato alla ribalta, non sai se rallegrartene o temere il peggio. Di sicuro lo spagnolo ha pagato, e questo è già qualcosa. Ha perso due grandi Giri, ha perso un mucchio di soldi anche se ora si rifarà con gli interessi.

Possiamo fidarci? È la domanda che segue e che non trova ovviamente risposta. Possiamo solo affidarci alle regole, dure, trasparenti, e soprattutto di effetto immediato. E in questo il ciclismo, con i suoi zig zag, lo sta facendo. Fenomeni al Giro e al Tour quest'anno non se ne sono visti. Chi attacca, lo fa solo una volta o due. Le grandi imprese, che poi spesso nascondono grandi imbrogli, sono più rare. Domina il ciclismo di squadra, come è successo al Tour col team Sky. Un ciclismo molto matematico e pragmatico. Che non scalda il cuore ma non ti prende nemmeno per i fondelli.

Resta insomma questa parziale consolazione: che adesso chi sbaglia, paga. Che anche gente come Contaodr deve rigare dritto, non oltrepassare quella soglia, labile ma rischiosa, tra il lecito e l'illecito, tra la lealtà sportiva e la scorciatoia., Perché poi, diciamolo ancora una volta, doparsi è una frode. Un atto di disonestà. Verso l'avversario e verso il pubblico. Punto e pasta.

«Negli anni Novanta - ha detto Johan Museeuw, vincitore di 3 Fiandre e tre Roubaix - il doping era una routine. Tutti facevano ricorso a pratiche illecite. Dobbiamo farla finita con l'ipocrisia», ha ricordato il belga a chi continua a fare il finto tonto.

Museeuw ha anche detto che ora le corse sono molto più pulite, e che il doping non è più uno stile di vita. Mah. Lo speriamo, ma prima di crederlo aspettiamo una decina d'anni. Di fregature ormai ne abbiamo prese troppe.

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