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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2012 alle ore 06:38.

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Hanno una «aberrante visione ideologica», non disdegnano affatto «la violenza della guerra» e per questo stavano preparando «plurimi attentati». Tuttavia, non hanno agito con «modalità terroristiche», poiché si ponevano «il problema di evitare gli effetti collaterali della loro azione eversiva e violenta». La Cassazione ha confermato ieri le condanne a pene ridotte inflitte nel processo d'appello bis a 11 neo-brigatisti accusati di avere in preparazione un attentato al giuslavorista e parlamentare del Pd Pietro Ichino. La Suprema Corte ha così scritto la parola fine su questa vicenda giudiziaria.
La II Sezione Penale della Cassazione (presieduta da Stefano Agrò) ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale la Procura Generale di Milano chiedeva il ripristino dell'accusa di terrorismo, che avrebbe ridato vigore alle pene più aspre inflitte nel primo processo di appello. Era stata la stessa Cassazione, il 23 febbraio scorso, con un verdetto della Quinta sezione penale, ad annullare con rinvio quelle condanne, ritenendo non configurabile la matrice terroristica dell'organizzazione neobrigatista.
Il 28 maggio, quindi, la Corte d'assise d'appello di Milano, seguendo la stessa impostazione, ha fatto cadere l'accusa di associazione sovversiva con finalità terroristiche. Secondo i giudici di secondo grado, il gruppo - smantellato nell'operazione "Tramonto" del 2007, coordinata dal Pm Ilda Boccassini - aveva sì in testa un «disegno eversivo» e «sovversivo» e stava progettando una serie di azioni, caratterizzate però «da violenza generica e non terroristica». I neobrigatisti, hanno scritto i giudici d'appello nelle motivazioni, hanno una «aberrante visione ideologica» e non disdegnano «affatto la violenza della guerra, che anzi rappresenterà» per loro «il momento finale dello scontro di classe»; volevano fare «proseliti» attraverso la «propaganda armata» e per questo stavano preparando «plurimi attentati» e uno dei loro «obiettivi politici» era proprio il giuslavorista Pietro Ichino.
Malgrado ciò – ha stabilito la Corte d'assise d'appello di Milano - non si può dire che le cosiddette Nuove Br del Partito comunista politico-militare abbiano agito con «modalità terroristiche», perché i loro bersagli erano mirati, ossia scelti e individuati con precisione, e i presunti brigatisti si ponevano «il problema di evitare gli effetti collaterali della loro azione eversiva e violenta», poiché non era loro intenzione «generare panico o terrore». Con la decisione di ieri la Cassazione ha così definitivamente convalidato gli sconti di pena agli imputati, sanciti dal secondo processo d'appello. Alfredo Davanzo – l'ideologo del gruppo che durante il processo d'appello aveva rifiutato con rabbia e nuove minacce la proposta di dialogo di Ichino – è stato così condannato a 9 anni di reclusione; Davide Bortolato, considerato il leader padovano dell'organizzazione, a 11 anni e Claudio Latino, il capo della cellula milanese, a 11 anni e mezzo. Poi 5 anni e 3 mesi per Massimiliano Gaeta; 8 anni per Bruno Ghirardi; 10 anni per Vincenzo Sisi, che sarebbe stato a capo del nucleo torinese; 7 per Massimiliano Toschi; 2 anni e 2 mesi per Amarilli Caprio, Alfredo Mazzamauro e Davide Rotondi; 2 anni e 4 mesi per Andrea Scantamburlo. Assolto invece un dodicesimo imputato, Salvatore Scivoli.
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