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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2012 alle ore 06:37.

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PARIGI. Dal nostro corrispondente
Qualche, timido, segnale di miglioramento ma ancora molti, troppi, voti insufficienti per l'Italia nel rapporto Ocse sull'istruzione.
Il primo dato sul quale accende i riflettori l'organizzazione parigina è quello della percentuale di laureati. La situazione italiana è certo migliorata - e ci mancherebbe altro - ma rimaniamo ancora nella parte bassa, bassissima, della classifica. Rispetto all'11% di laureati nella fascia d'età 55-64 anni siamo infatti saliti al 21% della fascia 25-34 anni. Un dato che ci colloca comunque al penultimo posto tra i 34 Paesi dell'Ocse, alla pari con l'Austria e davanti solo alla Turchia (17%). La media Ocse è del 38% e quella dell'Europa a 21 è del 35 per cento. Complessivamente, prendendo in considerazione tutte le fasce d'età, l'Italia è al 15% di laureati, come il Portogallo e ancora una volta davanti alla sola Turchia (13%). La media Ocse è del 31% e quella europea del 28 per cento. L'aspetto ancora più preoccupante è che il dato scende al 9% nella fascia d'età 25-34 anni tra i figli di genitori a bassa istruzione, a conferma dell'esistenza di una sorta di trappola sociale alla quale è molto difficile sfuggire.
Il lento miglioramento dell'Italia si è accelerato nell'ultimo decennio con l'arrivo della laurea breve. Che se serve a fini statistici sembra però poco efficace alla prova del mercato del lavoro. Tra il 2002 e il 2010 il tasso di occupazione dei laureati è sceso dall'82,2% al 78,3%, mentre quello dei diplomati è persino salito, dal 72,3% al 72,6 per cento. Nello stesso periodo, il tasso di disoccupazione dei laureati è salito dal 5,3% al 5,6%, mentre quello dei diplomati è lievemente sceso, dal 6,4% al 6,1 per cento. Un andamento in forte controtendenza rispetto all'Ocse e all'Europa.
Che la laurea valga sempre meno risulta evidente anche dal dato, scioccante, sulle differenze retributive. Se infatti nella fascia d'età 55-64 anni il salario medio dei laureati è quasi doppio rispetto a quello dei diplomati (+96%), questo differenziale è del 9% nella fascia 25-34 anni (quello medio Ocse è del 37%).
Il ritardo italiano nella percentuale di laureati sulla popolazione è anche dovuto all'assenza di corsi universitari "professionali" (il cosiddetto "tipo-B"), che nell'Ocse rappresenta invece il 17% dei laureati.
La storica mancanza di un rapporto funzionale, e funzionante, tra mondo dell'istruzione e del lavoro, è evidenziato pure da un altro dato allarmante: il 23% dei giovani (15-29 anni) non fa nulla. Non studia e non lavora. Ha cioè lasciato, o terminato, gli studi ed è in attesa di un lavoro che non arriva. In questa classifica l'Italia è quartultima, seguita solo da Spagna (24%), Israele (27%) e l'immancabile Turchia (37%). Un punto sottolineato dal vicepresidente di Confindustria per l'education Ivan Lo Bello: «Dai dati Ocse emerge il grave ritardo dell'Italia nel rapporto scuola-occupazione, per il rilancio del Paese bisogna valorizzare la cultura tecnica».
Il rapporto conferma inoltre la scarsità di risorse pubbliche destinate all'istruzione. Sul totale del Pil, l'Italia è al 4,7% (rispetto a una media Ocse del 5,8%), ma la situazione è ben più preoccupante quando si osserva la graduatoria della spesa per l'istruzione su quella pubblica complessiva: siamo al 9% rispetto a una media Ocse del 13% (penultimo posto, davanti solo al Giappone). E soprattutto la quota è scesa, dal 9,8% del 2000, con un aumento del solo 4% in termini reali.
In compenso c'è stata un'accelerazione per quanto riguarda il coinvolgimento dei privati nel finanziamento delle Università, cresciuto in dieci anni del 77 per cento. Nel 1995 l'82,5% dei costi universitari erano sostenuti dal pubblico (media Ocse al 78,9%). Nel 2009 questa quota è scesa al 68,6% (media Ocse al 70%).
Per il coordinatore del rapporto, Eric Charbonnier, la vera emergenza della scuola italiana è però l'età dei suoi insegnanti. Alle elementari quelli inferiori ai 40 anni rappresentano il 21,6%, mentre quelli con più di 50 anni sono il 45%, rispetto a una media Ocse rispettivamente del 41,7% e del 29,9% e a una media europea del 40,5% e del 29,9 per cento. Alle superiori la quota dei docenti sotto i 40 anni scende addirittura al 9,9%, mentre quella degli ultracinquantenni sale al 59,3 per cento. Le medie Ocse sono del 37,5% e del 34,9 per cento. Quelle europee del 35,8% e del 36 per cento. La percentuale degli insegnanti con meno di 30 anni in Italia è insignificante.
Si tratta di una situazione dovuta tanto al basso livello delle retribuzioni (anche se l'Italia è appena al di sotto della media Ocse e subito dietro la Francia) quanto allo scarso riconoscimento del ruolo sociale, alle difficoltà d'ingresso e a quelle che si incontrano, una volta entrati, nel far fronte a risorse finanziarie sempre più scarse.
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