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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2012 alle ore 18:36.

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Il punto di partenza è il succinto discorso di Barack Obama, ieri a Washington: il giorno dopo l'11 Settembre. Non ha minacciato le autorità libiche che pure hanno una grave responsabilità negli avvenimenti di Bengasi; non ha messo in discussione la qualità né l'utilità delle Primavere arabe. Come contano di reagire i governi e le opinioni pubbliche dei Paesi appena liberati dai loro vecchi regimi?

Quello di Obama è stato un discorso in continuità con quello all'Università al Azhar del Cairo. Una scelta pericolosa in campagna elettorale, con l'America ancora sospettosa e il candidato repubblicano pronto a battere la grancassa dell'orgoglio d'America. Un discorso "da smidollato", direbbero i falchi della vecchia amministrazione Bush.
A una tale comprensione per il mondo arabo e le sue difficoltà, cosa intendono dire gli arabi? Mohamed Morsi questa sera e fino a domani sera sarà a Roma.

Il presidente egiziano viene dal più importante movimento islamista (i Fratelli musulmani), dalla più importante delle Primavere nel più importante del Paesi arabi. Vorrà il presidente Morsi dire pubblicamente qualche parola forte e chiara? Vorrà annunciare qualche iniziativa politica contro gli estremisti islamici del suo Paese? Non con le stesse conseguenze di Bengasi, anche al Cairo c'è stato un assalto all'ambasciata americana, compiuto da esagitati che oggi sono rappresentati nel Parlamento egiziano.

Perché il problema è questo. In un certo senso è prevedibile che una marmaglia facilmente sobillata da gruppi politici organizzati, assalti un'ambasciata "nemica". Che l'Iran ed Hezbollah dichiarino che è colpa dell'America; che altri in Medio Oriente, Afghanistan, Pakistan tentino d'imitare le gesta di Bengasi. Ha a che vedere con le arretratezze del mondo islamico. E riguarda anche l'assenza di interpretazioni più moderne e consolidate delle parole e degli insegnamenti del Profeta.

Ma il problema è quando i leader politici, i governi vecchi e i nuovi - compresi quelli che con passione l'ambasciatore Christopher Stevens ucciso in Libia, ha aiutato a far nascere - tacciono o, peggio, giustificano. Il problema grave è quando le opinioni pubbliche di questi Paesi hanno atteggiamenti ambigui: a volte tacciono, altre fanno i fiancheggiatori, altre ancora scendono in strada a gioire.
Gli irresponsabili che in Occidente fanno stupidi film e vignette per offendere una Fede importante, non rappresentano governi. Sono come quei miliziani armati che in Oriente sobillano gente ignorante. Si odiano ma in questo odio comune sono stretti alleati.

Il Medio Oriente è stato a lungo vittima del colonialismo occidentale: ma è una vicenda storica finita. L'invasione americana del l'Iraq ha fatto piacere a tutti gli arabi e agli iraniani. E se gli americani bombardassero i siti nucleari in Iran, molti importanti Paesi arabi non sarebbero meno soddisfatti degli israeliani.
Quando ci furono gli attentati alla metropolitana di Londra, nel 2005, l'unico a dire «è colpa nostra, degli arabi» fu l'emiro del Qatar. Lo disse in un'intervista a questo giornale. Gli altri, anche amici come Mubarak e il regno saudita, fecero dichiarazioni di circostanza. Ora, nelle Primavere arabe, gli occidentali hanno avuto ruoli più o meno marginali. Quelle rivoluzioni le hanno combattute i diretti interessati, è stato un vero risveglio arabo. Proprio per questo il successo e la credibilità di quelle rivoluzioni sono nelle loro mani: degli arabi.

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