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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2012 alle ore 06:43.

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A 55 giorni dalle elezioni l'America è entrata in una crisi di sicurezza nazionale, dopo l'attacco al consolato di Bengasi premeditato da una frangia terroristica forse ispirata o legata ad al-Qaida. Continua u pagina 11
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Rispunta lo spettro del terrorismo nello stesso giorno delle ricorrenze per l'11 settembre, con un nuovo attacco all'America. Il classico momento che impone raccoglimento e unione. Ma Mitt Romney si è invece lanciato in un attacco contro la Casa Bianca, un'imprudenza che si è subito trasformata in un brutto scivolone politico.
Al di là delle strumentalizzazioni, preoccupa che questo incidente capiti nel momento in cui il calderone mediorientale è già caldissimo. Martedì l'Ambasciata americana al Cairo ha subito un assedio. Bandiera americana strappata e forze dell'ordine non capaci di disperdere la folla. Appena poche ore prima Barack Obama e Benjamin Netanyahu si erano trovati ai ferri corti per gravi differenze sulla politica iraniana. In Siria, un regime con il destino segnato continua a usare il suo esercito per uccidere cittadini innocenti. Che il momento sia particolarmente pericoloso lo dice l'unicità dell'eccidio di Bengasi: era dal 1979 che un ambasciatore americano non veniva ucciso in un attacco armato.
Che si tratti di un atto di guerra, come ha suggerito qualcuno? La risposta inequivocabile è no. Il Governo di Tripoli può essere stato lento nel reagire, ma in questa vicenda si trova schierato dalla parte dell'America e dell'Occidente, come ha riconosciuto Barack Obama nel suo breve discorso al Paese. Tripoli è stata colta alla sprovvista da un attacco militare in grande stile, con razzi, con artiglieria leggera con armi da fuoco automatiche che tradiscono semmai la vulnerabilità del nuovo Governo a pericolose infiltrazioni esterne. Funzionari americani dicono che a sud di Derna nella Libia orientale vi sono campi di addestramento molto probabilmente di al-Qaida. E il leader di al-Qaida Ayman al Zawahari aveva chiesto ai fratelli libici 24 ore prima dell'eccidio di vendicare l'uccisione in un attacco di droni di uno dei suoi luogotenenti libici Abu Yahya al-Libi. Ma l'intelligence americana non aveva sospettato che questo si potesse tradurre in una vera e propria operazione militare mascherata come dimostrazione popolare per un video stupido e imperdonabile che denigrava l'Islam e Maometto.
Molto diversa è la situazione al Cairo. Non solo il presidente Morsi fino a ieri sera non aveva espresso un pubblico rammarico per gli incidenti ma un suo portavoce della fratellanza islamica aveva chiesto a Washington scuse formali per il video di Sam Bacile e aveva chiesto di perseguire legalmente «i folli dietro la produzione del video... dimostrazioni civili del popolo egiziano sono accettabili». Che l'Egitto sia diventato un nemico dell'Occidente? Che la democrazia sia già sparita sotto il tallone dell'estremismo? La retorica preoccupa e Morsi deve intervenire per fare chiarezza. E l'Ambasciata americana al Cairo ha sbagliato nel diramare un comunicato in cui esprime comprensione per l'irritazione dei fedeli islamici. Anche questi diventano elementi della crisi di sicurezza nazionale a un passo dalle elezioni. Per questo Romney è intervenuto, anche se avrebbe fatto molto meglio a starsene zitto, onorando la vita di americani morti, come ha detto Obama «on the line of duty».
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