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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2012 alle ore 16:27.

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BEIRUT - Discorsi limati fino all'esasperazione, quelli pronunciati da Benedetto XVI nella sua prima giornata di viaggio in Libano, tre giorni di immersione nella complessa religiosità del paese dei cedri, che conta la presenza di diciotto confessioni religiose, di cui ben sette cattoliche. Atterrato in uno dei Paesi-chiave del Medio Oriente all'indomani della strage di Bengasi e nel giorno dell'acuirsi di nuove violenze in Sudan, Ratzinger condanna il fondamentalismo, tutti i fondamentalismi.

È questo il massimo limite politico dove si spinge il Pontefice, che in ogni passaggio ribadisce (e lo hanno fatto i suoi collaboratori per settimane) che la sua presenza in questa sponda del Mediterraneo è di carattere religioso. Ma per la prima volta - in aereo, durante la conferenza stampa nel volo Alitalia che lo ha portato da Ciampino a Beirut - parla delle primavere arabe come un «grido di libertà», che tuttavia non si deve trasformare in odio, in nuova dominazione.

L'occhio è rivolto naturalmente alla difficile situazione dei cristiani, spesso costretti (come sta accadendo in Siria, ma da anni è un fenomeno in espansione in tutta l'area) a scappare, diventando profughi a causa della religione. E di Siria il Papa parla con chiarezza quando dice che va fermato il traffico d'armi che alimenta gli scontri sanguinosi, che vanno avanti senza sosta da mesi. Quando il viaggio in Libano fu progettato era lontana da ogni previsione la situazione che si è venuta a creare in questi giorni, con nuovi scontri e le navi da guerra Usa mandate a largo della Libia, oltre che l'acuirsi degli scontri in Siria che sono debordati anche a Tripoli, città a nord di Beirut dove proprio oggi si sono registrate nuove violenze.

Tuttavia - come ha ribadito il Papa - non si è mai pensato di annullare il viaggio (come accadde con Giovanni Paolo II nel 1994, viaggio poi effettuato nel 1997): «Nessuno mi ha mai consigliato di desistere» da questo viaggio, «né io ho pensato di farlo: più la situazione è complicata più è necessario dare speranza di pace, fraternità e amicizia». Insomma, Benedetto XVI intende in questi tre giorni giocare - senza forzature, è il mantra che ripetono nella delegazione papale - la carta della pacificazione religiosa, proprio in una terra dove da sempre la strumentalizzazione della religione genera perlopiù guerre.

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