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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2012 alle ore 06:38.

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ROMA
L'annuncio della Fiat desta l'allarme tra i sindacati, preoccupati per il futuro degli stabilimenti italiani e la tenuta dei livelli occupazionali negli impianti che già devono fare i conti con il massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali.
Nelle reazioni al comunicato aziendale, le categorie si dividono. Da un lato la Fiom-Cgil accusa il Lingotto: «Non sta rispettando le promesse che ha fatto» ad aprile del 2010, sollecitando la convocazione da parte del Governo di azienda e sindacati. Dall'altro Fim-Cisl, Uilm e Uglm che sottolineano come le difficoltà congiunturali di mercato – con le vendite di agosto si è scesi ai livelli degli anni '60 – non devono pregiudicare il piano d'investimenti. Queste sigle incontreranno i vertici della Fiat a fine ottobre, ma le criticità erano emerse già nell'ultimo incontro del 1°agosto quando l'azienda aveva annunciato un rallentamento degli investimenti sulle linee di Mirafiori.
Per il leader della Fiom, Maurizio Landini, «purtroppo si conferma che la Fiat sta perdendo quote perché non ha fatto investimenti e non ha nuovi prodotti», in più si rischia che «in Italia il sistema industriale dell'auto, non solo Fiat e componentistica, salti e si perdano altri posti di lavoro». Per Landini «in un paese normale, Monti dovrebbe convocare non solo la Fiat, ma anche le parti sociali per discutere del piano industriale», come «accade all'estero, dove i governi si fanno carico dei problemi dell'industria automobilistica»; il riferimento è a Peugeot «quando ha annunciato 8mila esuberi, è stata convocata da Hollande».
Per la Fim, il responsabile auto Ferdinando Uliano sottolinea che le attuali difficoltà congiunturali di mercato «non possono pregiudicare il piano d'investimenti», è necessario che «anche il Governo faccia la propria parte assumendo iniziative a sostegno e difesa delle aziende che investono nel nostro Paese». È indispensabile, secondo la Fim, avere la conferma degli investimenti previsti nel piano Fabbrica Italia per Melfi, Cassino e, per dare inizio ai lavori per adeguare lo stabilimento torinese di Mirafiori. La Fim evidenzia come nel 2012 e nel 2013 le auto vendute in Italia non supereranno quota 1,4 milioni (1 milione in meno rispetto al 2007), di queste 450mila saranno della Fiat, «un dato lontano dal piano Fabbrica Italia che puntava a raggiungere 1,4 milioni di vetture nel 2014».
In questo contesto, il numero uno della Uilm Rocco Palombella, invita a non lasciarsi andare a facili allarmismi: «Il comunicato aziendale conferma che non ci sono ripensamenti sugli stabilimenti in Italia e sugli occupati – afferma –, al posto degli esuberi si utilizza la cassa integrazione, con la speranza di poter ripartire a metà del prossimo anno». Palombella lancia un appello ai vertici del Lingotto: «Rispetto alle difficoltà attuali del settore auto che sono di natura congiunturale – avverte – non bisogna praticare scelte strutturali che pregiudichino il progetto della produzione automobilistica italiana». Per il segretario nazionale dell'Ugl Metalmeccanici, Antonio D'Anolfo «si chiami Fabbrica Italia o in qualsiasi altro modo, quello che ci interessa è il superamento della congiuntura critica del settore auto e il mantenimento dei posti di lavoro in Italia».
Intanto per lo stabilimento di Termini Imerese, la Fiom di Palermo lancia l'allarme per lo stop alla conversione del decreto sugli esodati, che riguarda 55mila lavoratori – compresi 450 operai della fabbrica siciliana – impedirebbe al Lingotto di richiedere un ulteriore anno di cassa integrazione per i restanti dipendenti, col conseguente licenziamento a partire dal primo gennaio, cioè alla scadenza dell'attuale Cig, di tutti i lavoratori e a catena anche delle tute blu dell'indotto, in totale 2.200 persone.
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