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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2012 alle ore 06:38.

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di Ugo Tramballi
A Bibi è sempre piaciuto scherzare con il fuoco. Dà il meglio di sé in queste situazioni. Aumenta la schiera dei nemici ma alla fine riesce a ottenere quello che pensa sia il meglio per Israele. Nei sentimenti degli americani, non poteva trovare campo migliore di quello devastato delle piazze arabe davanti alle loro ambasciate prese d'assalto, per tornare al suo tema preferito: il nucleare iraniano.
Quello di domenica sui due talk show politici più ascoltati, "Meet the Press" di Nbc e "State of the Union" di Cnn, è stato un bombardamento mediatico. «Ciò che vedete oggi in queste folle è ciò che vedrete con un regime che possiede l'atomica», ha detto Benjamin "Bibi" Netanyahu, rientrando a gamba tesa nella campagna presidenziale. È il premier israeliano che usa esempi sportivi. Gli iraniani, dice, «sono arrivati agli ultimi 20 yards, non potete permettere loro di superare la linea di meta. Non potete far loro segnare un touchdown perché questo avrebbe conseguenze incredibili». L'esempio è quello del football americano il cui campionato è alla seconda giornata. La retorica di Bibi tocca le parti sensibili di chi lo ascolta: è cresciuto negli Stati Uniti.
L'offensiva dura da più di un mese. Prima della parabola calcistica, Netanyahu aveva accusato l'amministrazione democratica di non voler fissare con chiarezza una "linea rossa", oltre la quale il programma nucleare iraniano non deve andare e l'azione militare israeliana può partire. Perché, ha ripetuto ieri, a Teheran sono distanti solo «sei, sette mesi dall'avere il 90% di quel che occorre» per fare la bomba. Netanyahu confonde volutamente due storie mediorientali, entrambe di drammatica attualità ma con scarsi legami: le violenze dei giorni scorsi nei Paesi arabi e il nucleare iraniano. Questa volta è Susan Rice, l'ambasciatore Usa all'Onu, a porre un argine. Sull'Iran ribadisce che c'è ancora tempo perché diplomazia e sanzioni raggiungano l'obiettivo. Quanto alle Primavere messe in discussione in questi giorni, la linea americana è chiara e non cambia: nonostante tutto, «è nostro interesse che la gente abbia la possibilità di scegliere il suo governo. Questo è l'interesse a lungo termine degli Stati Uniti. Dobbiamo rinforzare la nostra assistenza». I repubblicani, con il sostegno di Netanyahu, avevano proposto di cancellare l'aiuto militare di 1,5 miliardi di dollari l'anno. Farlo, secondo Rice, avrebbe conseguenze drammatiche. È evidente al mondo, non solo all'ambasciatore Onu, amica di Barack Obama, che sarebbe come perdere il nuovo Egitto. Come negli anni 50, quando gli Usa non vollero finanziare la diga di Assuan e Nasser si rivolse all'Unione Sovietica.
Bibi Netanyahu ha un grande talento nel parlare agli americani. Ha sempre fatto solo questo, ritenendo che non servisse altro per fare gli interessi d'Israele. Ma non ha mai parlato agli arabi. È stato l'ultimo, insieme al re saudita, ad ammettere l'ineluttabilità delle Primavere, sostenendo Hosni Mubarak fino in fondo. Decidendo di coglierne solo i pericoli e non anche le opportunità, ha scelto "per motivi di sicurezza" di non rilanciare il dialogo con i palestinesi né di cercarne uno con il nuovo Governo egiziano. Poi ha ridotto al minimo sindacale anche i rapporti con gli Stati Uniti, il grande alleato, facendo un'altra scelta pericolosa: puntare sulla vittoria di Mitt Romney e la disfatta di Obama. Ma queste sono le scelte tattiche e strategiche, fatte per il bene supremo d'Israele. Almeno così pensa Bibi Netanyahu.
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