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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2012 alle ore 06:38.

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Afghanistan, Egitto, Indonesia, Libano, Pakistan, Sudan Yemen. Anche le Filippine e l'Azerbaijian, dove è praticata una forma di Islam moderato. Sono ormai 20 i paesi musulmani in cui sono scoppiate violente proteste contro il film anti-islamico sulla vita di Maometto - "L'innocenza dei musulmani", -realizzato negli Stati Uniti. Dopo aver respinto la richiesta della Casa Bianca di rimuovere da Youtube il controverso film, Google ha iniziato a limitare l'accesso in diversi Paesi musulmani.
Dal giorno dell'attentato al consolato americano di Bengasi, martedì scorso, 17 persone sono morte nelle violenze legate alle proteste. Ieri la collera dei musulmani è esplosa anche in Afghanistan. Una rabbia resa ancor più feroce per le vittime dell'ultimo raid della Nato, nel distretto di Alingar, dove i caccia hanno ucciso per errore numerosi civili, fra cui otto donne. Al grido «morte all'America», oltre mille manifestanti hanno ingaggiato scontri contro le forze dell'ordine nei pressi della base militare Usa di Camp Phoenix. Respinta, la folla ha manifestato altrove. Il bilancio è di 40 poliziotti feriti da lanci di pietre.
L'Afghanistan non è nuovo a violente proteste anti americane. Anche di recente. Quando, il 21 marzo 2011, il pastore Wayne Sapp bruciò una copia del Corano in Florida, il bilancio fu molto grave: in un assalto alla sede Onu di Mazar-e-Sharif, nel nord del Paese, morirono 12 persone. Il giorno dopo, a Kandahar, le vittime tra i manifestanti furono nove. Più di recente - nel gennaio 2012 - a far scoppiare la rabbia fu un video postato su you Tube che ritraeva quattro marines mentre urinavano sui cadaveri di tre insorti appena uccisi. Un mese dopo, in febbraio, emerge un altro episodio che scatena l'ira degli afghani e del mondo musulmano: nella base americana di Bagram vengono trovate copie del Corano bruciate. Il presidente americano Barack Obama si scusa. Invano. Vengono uccisi sei soldati americani. Plausibile, dunque, che l'ultima ondata di proteste continui anche nei prossimi giorni.
Violente proteste sono scoppiate ieri anche in Pakistan, dove sono morti due manifestanti. Il premier Raja Pervez Ashraf ha ordinato la chiusura di YouTube. In Libano, decine di migliaia di persone hanno partecipato alla manifestazione organizzata a Beirut dal movimento sciita Hezbollah. In una delle sue rare apparizioni in pubblico, è intervenuto, chiedendo la rimozione del film, il leader Hassan Nasrallah. «Gli Stati Uniti - ha avvertito - devono capire che se trasmetteranno tutto il film affronteranno ripercussioni molto pericolose nel mondo».
È un'onda che non si arresta. Anche perché, anziché invitare alla moderazione, a incendiare le masse sono alcuni leader spirituali. «Dovete mostrare al mondo intero la vostra rabbia e la vostra collera, lunedì e i giorni che seguiranno, ha esortato Nasrallah. In Tunisia, un popolare sceicco salafita, che ieri si è dileguato, è accusato di aver incitato ad attaccare l'ambasciata americana di Tunisi. Tra gli altri Paesi colpiti dalle manifestazioni c'è anche l'Indonesia. A Jacarta una violenta manifestazione (sassi e bombe molotov) davanti all'ambasciata Usa è stata dispersa dalla polizia con i gas lacrimogeni. In diversi paesi sono aumentate le misure precauzionali per garantire la sicurezza degli operatori umanitari italiani.
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