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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2012 alle ore 17:48.

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Ancora un mese di tempo per trovare l'accordo sulla legge elettorale. Nessun blitz da parte di Pdl e Pd per mettere alle strette il Pd. Questa la decisione presa dall'attesa capigruppo del Senato: dalla prossima settimana la riforma torna in commissione, lasciando definitivamente il comitato ristretto convocato a luglio per tentare di trovare una quadra; in commissione ci saranno due settimane di tempo per arrivare a un testo condiviso dopodiché una nuova capigruppo (probabilmente il 9 ottobre) deciderà la calendarizzazione in Aula. Questa settimana servirà dunque ai partiti a schiarirsi le idee e confrontarsi tra di loro prima che inizino i lavori della commissione. Ma ben pochi elementi fanno pensare si giungerà ad un accordo in breve tempo.

Il nodo del premio di governabilità
Pdl e Udc (e con loro anche la Lega) sono ufficialmente schierati per un sistema proporzionale con preferenze, sbarramento al 5% e piccolo (massimo il 10%) premio di maggioranza al solo primo partito. Mentre il leader del Pd Pier Luigi Bersani - in testa nei sondaggi e l'unico fin qui ad aver messo in piedi una sia pur complicata coalizione con Sel di Nichi Vendola - insiste sui collegi uninominali al posto delle preferenze e fissa il premio, che preferirebbe alla coalizione e non solo al primo partito, almeno al 15 per cento. La fotografia attuale ritrae immagini rigide, difficilmente modificabili nella prossime ore. Il punto, naturalmente, non è nei cinque punti di premio ma è squisitamente politico: un sistema sostanzialmente proporzionale con un premio che non garantisce la maggioranza dei seggi a chi arriva primo, aprendo così la strada alla possibilità della grande coalizione e dunque del Monti bis, è esattamente quello che il Pd di Bersani non vuole. Il terreno del conflitto, a questo punto, non è tanto nelle regole migliori quanto nell'obiettivo politico da perseguire. Per Pier Ferdinando Casini (da sempre) l'obiettivo è il Monti bis. Per Silvio Berlusconi è una delle opzioni sul tappeto attualmente, dal momento che il Cavaliere ha messo in conto un secondo posto e dunque solo attraverso la grande coalizione può essere sicuro di restare in gioco anche dopo il 2013. Per Bersani infine l'obiettivo è Palazzo Chigi con un governo di larga coalizione dai centristi ai vendoliani.

L'indecisione di Berlusconi
Ad accentuare il fermo immagine sulla riforma elettorale è l'indecisione di Silvio Berlusconi: l'ex premier non ha infatti ancora deciso se candidarsi in prima persona o puntare su un volto nuovo e non ha stretto ancora alleanze con altre forze politiche. E l'indecisione - secondo quanto raccontano gli uomini a lui più vicini, dovrebbe durare ancora fino a tutto novembre. Due le date che aspetta il Cavaliere. La prima è quella delle elezioni siciliane, il 28 ottobre. Voto tanto atteso in casa azzurra non tanto come test in sé, dal momento che le elezioni siciliane sono da sempre un po' particolari, quanto per i riflessi che quel voto inevitabilmente avrà sulla politica nazionale. Se in Sicilia dovesse vincere il candidato del Pdl Nello Musumeci contro quello dell'alleanza Pd-Udc Rosario Crocetta, il trend di comunicazione all'esterno tornerebbe positivo per il centro-destra. E soprattutto la sconfitta del candidato di centro-sinistra potrebbe generare un ripensamento da parte di Casini riguardo all'alleanza di governo che sia pur faticosamente si profila con Bersani. La seconda data spartiacque è fine novembre, quando si conoscerà l'esito delle primarie del centro-sinistra. Se dovesse vincere Bersani il Cavaliere potrebbe essere tentato dalla sfida in prima persona, puntando sulla vecchia nota dell'anticomunismo. Con una vittoria di Renzi, invece, anche il Pdl si troverebbe costretto a innovare e il Cavaliere potrebbe a quel punto fare un passo indietro in favore di una personalità nuova. Che però ancora non c'è.

La possibile mediazione
Sciolti i nodi politici, dal punto di vista tecnico un compromesso si può trovare: ad esempio un premio basso potrebbe essere alla fine accettato dal Pd in cambio dei collegi uninominali a posto delle preferenze (i collegi introdurrebbero infatti un elemento maggioritario in più). «Siamo in Italia - preconizza lo "sherpa" centrista della prima ora Ferdinando Adornato -. Bersani vuole il premio al 15%, noi e il Pdl al 10 per cento. Alla fine si farà un premio del 12,5%...». Un premio del 12%, d'altra parte, è stato già proposto dall'azzurro Gaetano Quagliariello. Quanto alla scelta tra preferenze e collegi, una volta raggiunto l'accordo sul premio sarà più semplice decidere. Il Pdl ha impugnato la bandiera delle preferenze più che altro come arma di contrattazione con il Pd sul premio, senza reale convinzione eccezion fatta per l'area ex An. Mentre il Pd ha fatto capire negli ultimi giorni di no volersi impuntare sulle preferenze pur di portare a casa la riforma del Porcellum. A decidere tra collegi e preferenze sarà anche la questione dei tempi: un accordo entro il mese prossimo favorirebbe la soluzione dei collegi, una riforma all'ultimo momento utile prima di sciogliere le Camere imporrebbe invece la soluzione delle preferenze. Lo spiega il democratico Luciano Violante, che fin dall'inizio ha seguito la trattativa per conto del Pd: «Se si reintroducono i collegi bisogna ridisegnarli secondo l'ultimo censimento fatto a febbraio, come prevede la Costituzione. E per ridisegnare i collegi servono almeno due mesi».

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