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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2012 alle ore 07:22.

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Meno assessori, meno gruppi, meno finanziamenti, meno auto-blu, meno immobili. Snocciolando i tanti «meno» che ieri ha chiesto al consiglio regionale per «superare la catastrofe» evitando di «tornare tutti a casa», come ha detto la stessa presidente in un discorso dai toni enfatici, non si può dire che Renata Polverini abbia sbagliato mira.

Piuttosto, ha sbagliato i tempi, perché i temi sollevati dalla presidente sono tutt'altro che nuovi: bastava un'occhiata anche distratta all'andazzo della Pisana, come di tanti consigli regionali, per capire il problema prima di essere investiti dalle paginate dei giornali fiorite sull'onda del «caso-Batman».

I gruppi
La moltiplicazione dei gruppi è una delle vie più semplici e più battute per trasformare la politica regionale in una piramide rovesciata, dove tutti hanno un titolo aggiuntivo (con relativa indennità) e i consiglieri semplici sono mosche bianche. Nel Lazio, per esempio, l'indennità di base è 3.708 euro netti al mese (più 3.503 euro di rimborsi), ma diventa 4.739 euro netti per i capigruppo. Bene: a Via Cristoforo Colombo, in 7 casi (Api, Fli, Lista civica dei cittadini, Mpa, Psi, Politica etica responsabilità e Verdi) il capogruppo è capo solo di sé stesso, perché è l'unico esponente. E nonostante questo, sono riusciti a fare anche un Gruppo Misto: misto di nome ma non di fatto, perché anche lui ha come unico componente il suo presidente.
Una situazione insensata, che però non garantisce al Lazio il record di proliferazione delle sigle: nella piccola Basilicata, per esempio, i consiglieri sono solo 30, ma sono divisi in 12 gruppi, 9 dei quali iniziano e finiscono nella persona del loro presidente. Simile la situazione in Molise, dove anche il presidente della Regione Michele Iorio ha un suo gruppo (Per Il Molise Iorio Presidente), di cui è l'unico componente: il suo antagonista Paolo Frattura, per non essere da meno, capeggia il suo monogruppo (Il Molise di Tutti Frattura Presidente).

Le commissioni
Ancora più promettente per i componenti è la manna delle commissioni, che oltre al presidente (che nel Lazio ha la stessa indennità del capogruppo) producono anche poltrone da vicepresidenti (180 euro netti al mese in meno, ma comunque 800 in più che al consigliere semplice). Il Lazio da questo punto di vista non teme confronti: tra commissioni permanenti, commissioni speciali e giunte, la Pisana conta 21 organismi, che producono quindi 42 indennità aggiuntive: aggiungendo i 12 extra da capogruppo, il presidente del Consiglio, i vice, i segretari e i questori, si scopre che il consigliere senza stellette nel Lazio non esiste.
I consiglieri e gli assessori
Anche la richiesta di tagliare il numero di seggi in consiglio e dei posti in Giunta non può essere considerata una mossa rivoluzionaria. In questo caso si tratta solo di rispettare la legge, e precisamente la manovra-bis varata dal Governo Berlusconi a Ferragosto del 2011 in occasione della prima grande crisi dello spread. Oggi il Lazio conta 70 consiglieri e 15 assessori, ma i parametri scritti dal Governo e approvati dal Parlamento ne concedono solo 50 e 10. Se la Polverini avrà successo, potrà solo dire di aver riportato la "sua" istituzione nella norma.

Le altre Regioni
Il problema è che, nonostante il panorama descritto da questi numeri, la Regione Lazio non può essere certo assunta come "modello negativo", perché l'andazzo è generalizzato. Anzi, a livello di spesa diretta per gli "organi costituzionali" il Lazio è solo 13esimo in rapporto agli abitanti (1.146 euro all'anno ogni 100 cittadini) e quinto in valore assoluto. La Sicilia, che è la regione più vicina dal punto di vista della popolazione, spende il triplo, grazie al doppio record di affollamento (90 consiglieri, anzi «deputati», come vengono chiamati sull'Isola) e di indennità (ogni mese 5.390 euro netti, più 4.187 euro di rimborsi minimi), e anche fra le Regioni a Statuto ordinario Calabria e Campania spendono in proporzione più di Roma. E' questa la gara che gonfia le spese della politica regionale, dove ogni anno finiscono 830 milioni di euro solo di costi diretti (senza cioè tener conto degli oneri collegati ai vari uffici amministrativi che seguono la politica): il doppio di quanto le regioni destinano alla ricerca scientifica o all'artigianato. Perché in politica, si sa, la scelta delle priorità è tutto.

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