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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2012 alle ore 22:59.

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«Zero problemi con i vicini» auspicava solo tre anni fa il ministro degli esteri turco, Ahmet Davutoglu. Ma oggi - rileva l'opposizione del Chp - la Turchia di Erdogan, che ambisce a un ruolo di potenza regionale, oltre alla guerriglia del Pkk ha problemi con tutti i vicini: dalla Siria all'Iran, dall'Iraq alla Grecia, da Cipro all'Armenia. Per non parlare dei colloqui con la Ue che sono praticamente congelati a causa del semestre di presidenza cipriota. In tutto questo panorama complesso Ankara vede aumentare la tensione sul confine orientale, nelle zone del sud-est anatolico a maggioranza curda. Le cifre parlano chiaro: oltre 600 morti dall'inizio dell'anno, 500 ribelli e 100 soldati, cento solo negli ultimi giorni: all'ombra della crisi siriana riesplode in Medio Oriente il conflitto del problema curdo in Turchia, con livelli di violenza sconosciuti dalla cattura del leader del Pkk Abdullah Ocalan nel 1999, condannato in seguito al carcere a vita.

Un conflitto che in passato ha provocato 40mila morti è che sembrava in via di risoluzione è tornato prepotentemente in primo piano fra il gruppo armato separatista e l'esercito turco. L'ultima domenica un agguato dei ribelli contro un convoglio militare ha provocato la morte di 10 reclute. Altri 70 soldati sono stati feriti. Due giorni prima erano stati uccisi 8 poliziotti e altri 4 militari. Ieri a Tunceli è stato ferito gravemente da due armati del Pkk il procuratore capo di Ovacik, Murat Uzun. Il conflitto si incrocia sempre più con quello siriano. Ankara - che appoggia i ribelli sunniti anti-Assad in Siria - accusa Damasco di giocare la carta del Pkk, con armi e aiuto logistico, per destabilizzare a sua volta il grande vicino settentrionale, un tempo amico. Il Pkk ha lanciato una dura offensiva contro le forze armate turche in luglio, proprio mentre in Siria diventava più violento l'attacco dell'Esercito Siriano Libero (Els) contro le forze governative. Finora l'esercito di Ankara, il secondo della Nato dopo quella americano, non è riuscito a neutralizzare i ribelli, che per la prima volta da anni non colpiscono per poi subito ritirarsi nelle basi arretrate nelle montagne del Nord-Iraq, ma cercano di prendere il controllo di fette di territorio di confine.

Una tattica nuova, baldanzosa che ha disorientato i generali della Mezzaluna turca. Ankara ha spostato nell'Anatolia orientale migliaia di soldati appoggiati da elicotteri, da caccia e dai droni Usa. Le operazioni, vista la rilevanza, sono seguite direttamente dal nuovo capo di stato maggiore Necdet Ozel.

OPINIONE PUBBLICA STANCA. Ma i ribelli continuano ad attaccare. E l'opinione pubblica turca è sempre più inquieta alle notizie di soldati di leva, poliziotti o civili uccisi ogni giorno sul fronte. Non è servita a frenare il separatismo curdo neppure la repressione attuata dalla giustizia turca contro presunti fiancheggiatori del Pkk o le misure anti-terrorismo dei cosidetti guardiani dei villaggi. Centinaia di sindaci, giornalisti, politici, studenti sono in carcere accusati di collusione col Pkk o con la Kck, l'Unione delle Comunità del Kurdistan. Una situazione quella dei giornalisti in carcere in Turchia che aveva allarmato perfino l'ex presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek in un visita ad Ankara che aveva chiesto al governo di intervenire per risolvere la questione.
La stampa turca critica la strategia e i risultati delle forze armate nella lotta contro i ribelli, la politica poco prudente seguita dal premier islamico moderato Recep Tayyip Erdogan in Siria e la reazione che questa ha avuto nelle aree del sud-est anatolico. Anche la presidente della Confindustria, Umit Boyner, ha detto che il paese ha il diritto di sapere cosa succede. I sondaggi indicano che la maggioranza della popolazione è contro la politica di coinvolgimento turco nella crisi siriana.

ECONOMIA IN FRENATA. Anche l'economia turca sta rallentando e la Banca centrale ha abbassato ieri al 10% dall'11,5% i tassi nel tentativo di far ripartire il Pil. La Banca centrale è riuscita a ribilanciare la crescita aumentando il peso dell'export e raffreddando l'insostenibile crescita della domanda interna nel biennio 2010-2011. Ma la domanda interna ora è in calo e una crescita del Pil del solo tre per cento può soddisfare gli investitori esteri, preoccupati degli squilibri che si nascondevano dietro la tumultuosa espansione del recenete passato, ma non basta certo a creare nuovi posti di lavoro e rappresenta un netto contrasto rispetto ai tassi dell'otto per cento visti finora. Una scommessa quella economica che Erdogan ha sempre vinto in passato.

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