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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2012 alle ore 06:38.

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Charlie Hebdo e il suo predecessore, il mensile Hara-Kiri, appartengono all'anima più libertaria dell'estrema sinistra francese e la loro storia è costellata di provocazioni, di polemiche e di alterne vicende giudiziarie.
Tutto comincia con Hara-Kiri, nel 1960. Alla testata collaborano i disegnatori più irriverenti del momento: Topor, Reiser, Wolinski, Cabu. La testata viene chiusa dalla magistratura una prima volta nel 1961 e un'altra nel 1966. Ma questo non impedisce alla redazione di uscire, nel novembre 1970, con una prima pagina scioccante. Mettendo insieme l'incendio in una discoteca (146 vittime) e la morte a Colombey del generale de Gaulle, il mensile titola: "Tragico ballo a Colombey, un morto". Il ministro dell'Interno blocca la pubblicazione e chiude il giornale.
La "banda di Hara-Kiri" riappare a metà degli anni Settanta con la testata Charlie Hebdo (da Charlie Brown), prima mensile e poi settimanale. Con molte vignette e un po' di giornalismo d'inchiesta, senza però ottenere il successo del Canard Enchainé, settimanale meno provocatorio e più giornalistico. Dopo numerose condanne, interrompe le pubblicazioni alla fine del 1981, per rinascere nel luglio del 1992. Charlie Hebdo mette a segno il primo vero colpo (da 480mila copie) nel febbraio del 2006, quando esce con le caricature di Maometto pubblicate la settimana prima dal giornale danese Jyllands-Posten.
Il filone islamico funziona. Il 1° novembre scorso annuncia per il giorno successivo l'uscita di un numero speciale la cui testata è stata modificata in Charia Hebdo. Nella notte la sede del giornale viene incendiata e la redazione viene ospitata nella sede del quotidiano di sinistra Libération. Il numero ha venduto oltre 400mila copie.

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