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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2012 alle ore 06:40.

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ROMA
«Ma che succede nel Pdl?»: è questo l'interrogativo che Mario Monti ieri rivolgeva ad Antonio Martino, economista ed ex ministro berlusconiano, durante la presentazione di un libro. «Di tutto, comunque finisce bene» rispondeva Martino. Anche a Silvio Berlusconi piacerebbe avere la certezza del lieto fine ma non è così. Il Cavaliere ieri è rimasto a Palazzo Grazioli con il vertice del partito per evitare che il caso Lazio e le intemperanze degli aennini travolgano il Pdl.
Il primo obiettivo è che Renata Polverini non si dimetta: «Sarebbe una catastrofe» è la convinzione di tutti. E per questo Berlusconi ha dato ad Alfano pieni poteri per avviare il repulisti. Le dimissioni del capogruppo alla Pisana Francesco Battistoni, ex Fi succeduto all'ex An Franco Fiorito al centro dell'inchiesta sull'uso dei fondi pubblici, sono state il primo segnale, seguito dalla convocazione dei capigruppo Pdl di tutte le Regioni. Resta ancora in ballo la permanenza di Mario Abbruzzese alla guida del Consiglio regionale, così come non è stato ancora deciso chi succederà a Fiorito e Battistoni. «Ci aspettiamo adesso che anche gli altri partiti si comportino come il Pdl, il così fan tutti non giustifica nessuno», dice Alfano al termine del vertice con il Cavaliere.
Polverini per il momento ha accantonato le dimissioni ma nessuno scommette sull'imminente futuro. «Il rischio di ulteriori coinvolgimenti c'è e se avvenisse sarebbe difficile resistere...», spiega un dirigente pidiellino. Il terrore del Cavaliere è che assieme alla Regione Lazio venga giù tutto. In primavera si vota anche per il sindaco di Roma e con l'aria che tira nel partito e i sondaggi negativi su Alemanno la sconfitta è data per scontata: «Rischiamo di finire al 10 per cento». Senza contare l'effetto trascinamento sulle politiche.
Berlusconi aspetta la legge elettorale per decidere se presentarsi o meno. L'intesa non c'è anche per le divisioni interne ai partiti. La minaccia di scissione di una parte degli ex An nasce proprio dal timore che il Cavaliere avesse dato il via libera all'accordo cassando le preferenze. L'ex premier ha garantito a Ignazio La Russa che non è così e ha dato mandato agli sherpa pidiellini di mantenere il punto sulle preferenze. Ma nessuno è pronto a scommettere che questa sarà davvero la soluzione definitiva. In ogni caso Berlusconi avrebbe assicurato a La Russa e Gasparri il rispetto del rapporto 70/30 tra ex azzurri ed ex An. In ballo ci sono i prossimi posti da deputato e il timore degli aennini e di essere penalizzati.
Il pericolo scissione è così rientrato. Almeno per il momento. Ma anche questa partita è in pieno svolgimento. Berlusconi non vuole rimanere incastrato tra le rivendicazioni di questa o quella corrente pidiellina. Anzi c'è chi sostiene che avrebbe una gran voglia di avviare un repulisti, un rinnovamento della classe politica del partito. Nel Pdl sono in parecchi a tremare anche perché i posti in ballo saranno assai meno di quelli attuali e molti di coloro che oggi stazionano nel Transatlantico della Camera ad aprile potrebbero aver già fatto gli scatoloni.
Quel che è certo è che Berlusconi vuole sedersi al tavolo del negoziato del dopo Monti. Per farlo non solo deve assicurarsi un'affermazione elettorale che gli consenta di non rimanere troppo distante dal Pd ma, soprattutto, deve poter contare su un gruppo parlamentare disposto a seguirlo compatto. Anche se dovesse decidere di ripetere l'esperienza della grande coalizione.
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REGIONE NELLA BUFERA

Polverini resiste
La presidente del Lazio (nella foto alla festa in stile Ulisse) resiste, almeno fino a oggi. E incassa l'appoggio incondizionato del Pdl, allo stremo ma compatto, dopo che via dell'Umiltà costringe il capogruppo Francesco Battistoni, dalla cui denuncia è originata l'inchiesta fondi Pdl, a dimettersi
Le accuse ritrattate di Fiorito
Addirittura in serata quella che in una giornata di schiarita politica era l'unica tegola, l'accusa dell'indagato Franco Fiorito («La Polverini sapeva»), viene ritrattata dall'interessato via tv («non l'ho mai detto»).
Il Cavaliere però teme gli effetti sui prossimi appuntamenti elettorali, dalle politiche alle amministrative

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