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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2012 alle ore 08:21.

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Ora c'è una data: il 17 dicembre 2012. Il direttore del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, dà un ultimatum all'Argentina che tra meno di tre mesi dovrà fornire dati attendibili sull'inflazione e sul Prodotto interno lordo. Se il governo argentino di Cristina Fernandez de Kirchner non fornirà informazioni utili al riguardo, Lagarde estrarrà il "cartellino rosso". In altre parole potrebbe emettere una "censura" nei confronti del Paese sudamericano.

La questione è annosa: l'Indec, ovvero l'Istat argentino, fornisce dal 2007 dati statistici molto divergenti da quelli offerti dagli istituti di ricerca privati. Il caso più eclatante riguarda l'inflazione che secondo l'Indec e quindi il governo argentino, non supera il 7-8% annuo, mentre secondo gli istituti di ricerca privati sfiora il 30%.

Chi ha ragione? L'opinione pubblica, famiglie e imprese, propende per il 30 per cento; i prezzi di tutti i beni di consumo riflettono aumenti sensibili. I vantaggi di dichiarare un'inflazione più bassa, per il governo, sono tanti: maggior consenso interno e internazionale. Per rimediare all'errore (definito dall'opposizione una frode statistica che penalizza la popolazione) e per mantenere alto il consenso interno, la presidenta Kirchner, ogni anno, concede indicizzazioni salariali di entità pari all'inflazione.

Gli investitori internazionali e gli organismi sovranazionali chiedono però rilevazioni attendibili e, per la prima volta, l'ultimatum del Fondo monetario internazionale mette alle strette il Governo argentino. Si profila quindi uno scontro aperto tra Fmi e Argentina.

Va ricordato che la presidenta Fernandez de Kirchner e prima di lei il marito Nestor Kirchner, ha costruito buona parte del suo successo interno sui danni provocati all'Argentina dal Fmi e in particolare dalle sue ricette rigoriste che nel 2002 portarono al default argentino.

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