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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2012 alle ore 12:51.

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Il gip Patrizia Todisco dice ancora no all'Ilva di Taranto. Il magistrato che due mesi fa ha firmato l'ordinanza di sequestro degli impianti dell'area a caldo stamattina ha detto no sia alla richiesta aziendale di avere una minima capacità produttiva, sia al piano Ilva da 400 milioni di euro con cui l'Ilva si impegna ad effettuare i primi interventi di risanamento. Il no del gip segue quello espresso pochi giorni fa dalla Procura. Il piano Ilva non è giudicato adeguato dalla Magistratura. E l'azienda deve quindi fermare i suoi impianti per bloccare l'inquinamento.

Oggi pomeriggio il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, incontra i sindacati metalmeccanici. I sindacati orientati ad organizzare uno sciopero per domani. Ma al di là dello sciopero delle sigle metalmeccaniche dilaga già la protesta all'Ilva. Un gruppo di una decina di operai stamattina è salito sul camino E312, a circa trenta metri di altezza, e annuncia lo sciopero della fame; oltre un centinaio di lavoratori staziona davanti alla direzione dello stabilimento siderurgico lungo la statale per Bari; da ieri sera un gruppo di lavoratori è a 60 metri di altezza su una torre dell'altoforno 5, il più grande d'Europa e cuore produttivo della fabbrica.

Tutte queste proteste hanno un denominatore comune: impedire la fermata dell'Ilva e lo spegnimento degli impianti ordinato dalla Magistratura nell'ambito del sequestro per disastro ambientale deciso il 25 luglio scorso. Gli operai si sono mobilitati in difesa del posto di lavoro perchè sanno che se è vero che il sequestro è scattato due mesi fa, sinora, difatto, nessuna conseguenza pratica si è avuta sia sull'occupazione che sulla produzione.

Adesso invece, dopo che il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, ha ordinato ai custodi, responsabili delle aree sequestrate, di attuare definitivamente il blocco impedendo all'Ilva di produrre, la situazione è destinata a cambiare. Come peraltro conferma il no del Gip e l'intimazione dei custodi all'azienda perchè il piano delle fermate sia reso esecutivo.

«Noi per ambiente, salute e lavoro». «Noi strumentalizzati da salute e lavoro, voi da chi?». «La nostra salute è la vostra salute»: sono alcuni degli striscioni apparsi sul camino E312. Invece sull'altoforno 5 svetta lo striscione «Lavoro uguale dignità». L'Ilva ha convocato infine per oggi i sindacati, i quali non escludono annunci legati alla situazione dell'occupazione.

Emergono, intanto, le prime fratture tra operai dell'Ilva e sindacato, mentre due gruppi, ognuno di dieci operai, hanno scalato il camino numero 2 e il numero 7 giurando di volerci rimanere fino a quando non ci sarà una schiarita. Michelangelo Campo, addetto alla manutenzione elettrica, è uno del gruppo di nove tute blu che si è asserragliato sul camino 312, dichiarando lo sciopero a oltranza della fame e della sete. «Lavoro uguale dignità» c'è scritto su uno striscione. Campo, da 13 anni all'Ilva, moglie e tre figli, guadagna 1300 euro al mese e paga un mutuo di 700 euro. Parla chiaro: «Non siamo estremisti filo aziendalisti ma non siamo neppure mai stati iscritti alle organizzazioni dei lavoratori. Il sindacato ci ha abbandonato. Ormai ci tocca trovare da soli la soluzione». Campo ha una sola certezza: «La fabbrica non può e non deve chiudere. Chi vuole il contrario, dovrà vedersela con noi».

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