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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2012 alle ore 06:38.

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Il direttore dell'ufficio delle Poste del Senato, Orlando Ranaldi, è stato arrestato dai carabinieri per spaccio di cocaina. Avrebbe fatto parte di un'organizzazione criminale, attiva nell'hinterland romano, tra Colleferro e Valmontone, che si riforniva da un boss albanese. Con Ranaldi, ex direttore dell'ufficio postale di viale Mazzini a Roma, sono finite in manette altre nove persone. Ranaldi, ai domiciliari, dovrà anche rispondere dell'accusa di peculato, perché, secondo gli inquirenti, utilizzava anche l'auto di servizio delle Poste per gli spostamenti legati allo spaccio della cocaina.
L'inchiesta è partita l'anno scorso da Valmontone. Secondo i militari della compagnia di Colleferro, che hanno diretto le indagini, non è stato necessario perquisire l'ufficio di Ranaldi all'interno del Senato perché dall'inchiesta non è emersa un'attività di spaccio nei locali di palazzo Madama, dove la notizia dell'arresto è stata accolta con stupore. Il presidente del Senato Renato Schifani si è detto «esterefatto». La sua prima preoccupazione è stata quella di chiarire che Ranaldi «non è dipendente del Senato», ma di Poste italiane e che si è di fronte a «fatti commessi all'esterno» della sua attività di lavoro. Schifani ha aggiunto di «aver preso contatti con la questura di Velletri, per dare l'immediata e totale disponibilità di questa presidenza all'accesso della polizia giudiziaria agli uffici postali ove si dovesse ravvisare l'esigenza di fare delle ricerche utili alle indagini». Il senatore leghista Roberto Calderoli ha parlato di «fatto grave, incredibile e preoccupante». Mentre il capogruppo dell'Idv Felice Belisario ha commentato caustico: «Spero che non abbia spacciato all'interno del Senato».
In serata l'arresto è diventato un caso politico perché è emerso che Ranaldi è iscritto all'Api. E che sul suo profilo Facebook, chiuso dopo l'arresto, esibiva fotografie con vari dirigenti del movimento. Tanto che Alleanza per l'Italia ha voluto precisare che il direttore delle poste del Senato è solo «uno dei 50mila iscritti ad Api e non ricopre alcun ruolo di responsabilità». Ricordando che «in applicazione del proprio codice etico, chi incorre in reati viene espulso dal partito».
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