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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2012 alle ore 10:10.

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Sono meno appariscenti delle indennità e dei fondi ai gruppi, ma nel loro tranquillo tran tran quotidiano le spese per mandare avanti le macchine regionali sono il vero costo della politica. Almeno nella parte inefficiente che, numeri alla mano, è decisamente ampia. Due cifre? Riportare nella media nazionale la sola spesa di personale nelle Regioni che in questa voce la superano farebbe risparmiare ogni anno 1,3 dei 6,3 miliardi che le Regioni spendono in stipendi, premi di produzione, buoni pasto, missioni e rimborsi spese.

Nei «consumi intermedi», che sono le spese di funzionamento per la cancelleria e i computer, la manutenzione degli immobili, le utenze e così via, è lo stesso commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa Enrico Bondi a offrire la cifra dei possibili risparmi: 2,5 miliardi all'anno, su un insieme di costi che ne valgono poco meno di 6.

Il decreto sulla revisione di spesa approvato a luglio chiede per quest'anno ai governatori 1,2 miliardi, ma sulle modalità di distribuzione dei sacrifici non c'è ancora accordo mentre si avvicina la scadenza del 30 settembre entro cui la Conferenza Stato-Regioni dovrebbe servire a ogni amministrazione il menu dei tagli.

Con il passare dei giorni, si fa sempre più probabile l'intervento unilaterale per decreto da parte dell'Economia, perché la stessa legge prevede che i tagli vadano realizzati quest'anno e le cifre siano fissate entro il 15 ottobre. Il montare della polemica nata intorno al caso Lazio, poi, è seguito da vicino nel Governo, dove si spiega la presenza di un «dossier sulle spese delle Regioni» che potrebbe ora accelerare per «dare un segnale forte» prima della legge di stabilità.

Una stretta agli 830 milioni di costi della politica in senso proprio (si veda il Sole 24 Ore di ieri) sembra inevitabile, ma sono i 12 miliardi all'anno accumulati da spese di personale e di funzionamento a rappresentare il frutto più avvelenato dell'espansione delle Regioni. Soprattutto se si considera che queste cifre non riguardano la sanità, che copre l'80% dei bilanci regionali ma è in carico ai conti delle Asl.

Certo, non tutto è inefficiente, ma sono le differenze fra le Regioni (con un discorso a parte per Trentino Alto Adige e Valle d'Aosta, dove i costi sono alti ma il pacchetto di competenze è più ampio) a far risuonare l'allarme sprechi. La Sicilia è il caso di scuola del collegamento fra politica pletorica (90 "deuputati regionali", divisi in 9 gruppi e 14 commissioni) e gigantismo strutturale, con relativi costi. Sotto inchiesta ci sono ora i fondi per i gruppi, 13,7 milioni di euro nel 2011, ma a ipotecare i conti sono soprattutto gli 1,3 miliardi usciti dalle casse regionali nel 2011 per pagare il personale (pensioni escluse, che valgono 576 milioni e in Sicilia sono a carico del bilancio regionale).

Si tratta di 252 euro ad abitante, il quadruplo dei 64,3 euro pagati in media per lo stesso scopo dagli italiani e 14 volte tanto il conto presentato a ogni residente in Lombardia. Altissimi anche i dati registrati da Molise, Sardegna e Friuli, mentre tra le grandi regioni a Statuto ordinario a primeggiare è la Calabria, seguita da Abruzzo, Campania e Lazio. Ovvio il collegamento fra questo dato e le spese per il funzionamento ordinario, perché più assunzioni impongono più uffici e, banalmente, più carta, telefoni e così via. La graduatoria di queste spese, mostrata nell'ultima tabella, non si scosta troppo da quella sul personale: la Sicilia è seconda, battuta solo dalla Sardegna, mentre fra i territori a Statuto ordinario è la Campania a battere tutti.

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