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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2012 alle ore 09:44.

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Gianrico CarofiglioGianrico Carofiglio

Periodicamente, nel pur sempre composto dibattito culturale italiano, qualcuno si alza e propone l'abolizione dei premi letterari adducendo le più diverse motivazioni: dallo strapotere dei grandi gruppi editoriali all'incapacità di stare dietro alle tendenze del Paese reale. Se aspettiamo ancora qualche minuto, qualcuno prima o poi accuserà i concorsi librari di scaldare troppo gli animi, provocare tafferugli da stadio e produrre contenziosi che andranno a ingolfare ulteriormente i nostri poveri tribunali già sovraccarichi di lavoro.

E non avrà neppure tutti i torti: la cerimonia finale del Premio Strega 2012 è infatti storia di tre mesi fa, Philip Roth starà pensando ad altro ma qui le cronache culturali sono tutte per la causa civile da 50mila euro che un finalista del Ninfeo di Valle Giulia (Gianrico Carofiglio, in gara con «Il silenzio dell'onda», Rizzoli) ha intentato all'editor di un concorrente (Vincenzo Ostuni che, per Ponte alle Grazie, ha curato «Qualcosa di scritto» di Emanuele Trevi) per le critiche che quest'ultimo gli mosse via Facebook. E tutti giù a interrogarsi sulla più o meno sottile linea che separa il diritto di critica dalla diffamazione, la qualità dell'opera dalla dignità personale di chi la scrive, il nobile fendente di fioretto dal colpo villano sotto la cintola. E l'affaire Carofiglio-Ostuni ci ha messo davvero poco a diventare un caso da manuale. Che proviamo a riassumervi di seguito.

Scribacchino a chi?
Si sa che i social network, da un paio d'anni a questa parte, sono diventati una specie d'ufficio reclami per le cose del mondo che non ci vanno a genio. Ostuni sembra regolarsi esattamente in questi termini quando, all'indomani dello «Strega» e della sconfitta del libro di Trevi arrivato per soli due voti alle spalle de «Gli inseparabili» di Alessandro Piperno (Mondadori), apre il suo profilo Facebook e si sfoga così: «Finito lo pseudo fair play della gara, dirò la mia sul merito dei libri. Ha vinto un libro profondamente mediocre, una copia di copia, un esempio prototipico di midcult residuale. Ha rischiato di far troppo bene anche un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un'idea, senza un'ombra di responsabilità dello stile, per dirla con Barthes». I media danno risalto allo sfogo-vip e Carofiglio non ci sta a farsi dare dello scribacchino.

Ci sarà un giudice a Berlino
La reazione del giallista lanciato dalla Sellerio, già magistrato e oggi senatore, sa più del politico che si ritiene diffamato che dello scrittore sfidato a singolar tenzone da un rivale: tramite ufficio legale invia a Ostuni un invito a comparire davanti a un mediatore per comporre la lite, senza che la pratica finisca in tribunale. I media pure in questo caso danno molta eco alla vicenda e una volta tanto il principio del «Ci sarà un giudice a Berlino» riesce indigesto quasi a tutti. Il popolo del web, pro-libertà d'espressione per definizione, prende di mira Carofiglio per la decisione perentoria. Sui giornali si scomodano un po' di opinion leader a sostegno delle parti, un altro po' di intellettuali romani hanno organizzato un flash mob nel quale hanno pronunciato le frasi incriminate davanti al commissariato di piazza del Collegio romano, lo stesso al centro del «Pasticciaccio» di Carlo Emilio Gadda (della serie: «Querelateci tutti») e in tanti tra i critici temono che l'episodio possa trasformarsi in un raccapricciante precedente sulla base del quale non sarà più possibile stroncare un libro senza finire in tribunale.

Facciamo i bravi
Sul piano mediatico la scelta di Carofiglio a qualcuno potrebbe apparire un autogol. Cosa l'ha motivata? Lo scrittore, in un'intervista, prova a spiegare: «Una cosa sono i giudizi motivati sulle opere e un'altra le offese personali. I primi sono sempre ammissibili, ci mancherebbe. Le seconde mai. Si può dire "Il tuo libro fa schifo", anche se non è elegante. Non si può dire "Tu mi fai schifo"». In ogni caso il giallista apre uno spiraglio all'editor: «Ho sentito parlare di una colletta per le spese legali. Suggerisco di non spendere soldi in spese legali. I partecipanti versino i loro contributi a Save the Children, anch'io verso un mio contributo e questa storia è finita prima di cominciare». Insomma: tutto molto diverso – riflette qualcuno - dai tempi in cui gli scrittori si sfidavano a duello. Oggi «le parole sono oggetti pericolosi, possono fare danni e vanno maneggiate con cura», dice Carofiglio. Tempi lontani da quando Virginia Woolf definì l'«Ulisse» di James Joyce «l'opera di un nauseabondo studente universitario che si schiaccia i brufoli». O da quando Louis Ferdinand Cèline etichettò Françoise Sagan come «un fenomeno pubblicitario, una servetta degenerata». All'epoca di ong a cui devolvere l'intero ammontare del contenzioso non ce n'erano. E i premi letterari valevano il giusto.

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