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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2012 alle ore 08:15.

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ROMA
Cresce il partito del Monti bis. L'apertura di Mario Monti alla possibilità di proseguire la sua esperienza di governo («se sarà necessario») anche dopo il 2013 sta rimescolando le carte di una politica italiana confusa sì, ma già di fatto in campagna elettorale. La giornata di ieri ha registrato due importanti endorsement in favore del Professore. In mattinata è stato l'ad della Fiat Sergio Marchionne a dire che un Monti bis «sarebbe un passo avanti per il Paese e darebbe credibilità». Poi i vescovi.
«Siamo preoccupati per la situazione e quindi siamo vicini a qualsiasi soluzione possa favorire un adeguato e rapido superamento della crisi», ha detto il segretario Cei, monsignor Crociata, rispondendo ad una specifica domanda sul Monti bis. Non solo, aperture sono venute anche dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi («il Monti bis è una delle possibilità») e dal segretario della Cisl Raffaele Bonanni (sarebbe un «bene» e un simbolo di «autorevolezza»).
Quanto alla politica, se il Pdl – a partire da Silvio Berlusconi – appare spiazzato dall'annuncio del premier "tecnico" ma non esclude di potersi giovare del rimescolamento di carte che la pseudo-candidatura comporterà (ieri aperture in tal senso sono venute dall'ex ministro Maria Stella Gelmini e dalla vicepresidente dei deputati Pdl Isabella Bertolini), è in casa Pd che il sasso lanciato da Monti ha fatto più rumore. Innervosendo il segretario Pier Luigi Bersani, che ieri è tornato a rovesciare il tavolo del Monti bis per indicare la meta del ritorno della politica con la P maiuscola alla guida del Paese. Non a caso il leader Pd ha rilanciato i suoi paletti sulla legge elettorale: no alle preferenze («er Batman è campione di preferenze: vogliamo metterci Batman, Robin e tutta la serie?»); e soprattutto sì a un congruo premio di maggioranza per chi arriva primo «perché la sera delle elezioni ci vuole qualcuno di cui si possa dire "questo è in grado di fare un governo", sennò andiamo nei guai». L'incubo di Bersani è un proporzionale con premio insufficiente che non faccia vincere nessuno e obblighi di fatto alla grande coalizione. Certo, Bersani sa bene che chi vincerà le prossime elezioni non potrà non fare i conti con il ruolo di mediatore che l'attuale premier ha assunto in Europa e Stati Uniti. Né potrà tornare indietro sulla linea del rigore e degli impegni sottoscritti a Bruxelles. «Il prossimo governo deve fare ancora più riforme rispetto a Monti. Lo diciamo davanti al mondo, per noi quell'idea di rigore e credibilità è punto di non ritorno». Quanto al futuro dell'attuale premier, Bersani si affretta a dire che «Monti dovrà in qualche modo continuare a servire il nostro paese, se ne avrà l'intenzione». C'è il Quirinale, e c'è anche l'Europa, fanno notare da Largo del Nazareno.
La vera ferita politica che l'annuncio di Monti ha contribuito a ravvivare nel Pd è come conciliare la continuità delle politiche montiane con l'alleanza con Nichi Vendola, che quelle politiche dichiara di voler smontare a cominciare dall'articolo 18. Per i montiani doc del Pd è proprio l'alleanza con Vendola il peccato originale di Bersani: «Questo problema della disponibilità di Monti non sarebbe emerso se Bersani stesso si fosse mosso su una linea di coerente sviluppo di continuità con Monti – dice Stefano Ceccanti –. Bersani ha commesso degli errori tra cui quello di dare per scontato un'alleanza con Vendola».
L'alleanza a sinistra con Sel non piace a maggior ragione al leader dell'Udc Pierferdinando Casini, sostenitore del Monti bis senza se e senza ma. E al momento le uniche maggioranze che sembrano poter uscire dalle urne, Grillo permettendo, sono due: Pd-Udc-Sel, quella a cui sta lavorando il leader Pd, oppure l'attuale Pdl-Pd-Terzo polo.
Questo il vero problema di Bersani. Un problema che non basterà un congruo premio di maggioranza a risolvere, anche se un congruo premio di maggioranza aiuterebbe senz'altro la strategia di Bersani. Un'altra via potrebbe essere quella lanciata ieri un po' a sorpresa dall'ex popolare del Pd Giuseppe Fioroni: «Monti per fare l'ennesimo dono al Paese potrebbe anche mettersi alla guida di un movimento dei moderati ed allearsi alla grande forza riformatrice del Pd per dare vita a un governo legittimato dal voto come fece Aldo Moro». Governo di larghe intese ma pienamente politico, senza Vendola e senza Berlusconi. Ma Monti ha già chiarito di non volersi candidare alle elezioni.
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