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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2012 alle ore 15:58.

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Chi lo chiama ancora cibo da cani non sa quanto bocconcini e croccantini facciano sbavare in primis gli investitori internazionali. Per un'industria che sugli animali domestici ha visto spalancarsi un mercato da 67 miliardi di dollari: il pet food negli Usa, ad esempio, vale quattro volte il settore degli alimenti per bambini e due volte quello del caffè.

Ovvio che l'attenzione dei produttori – come racconta il Financial Times – si sia spostata da quei bidoni con strani intrugli di carni ai sacchetti di cibo disidratato tarati sull'età degli animali, alle mini-confezioni da gourmet. Perché di questo si tratta: per spingere i profitti, si son prese a prestito le pratiche comunemente associate ai generi di consumo "umano" per modellarle sugli amici a quattro zampe.

Il mercato mondiale del pet food
Da lì derivano qualità premium, varietà biologiche e porzioni monopasto. E grossi margini di guadagno. Per Nestlé, il più grande gruppo mondiale del cibo, il pet food è il settore più redditizio dopo il caffè e nei prossimi anni – rivela Eileen Khoo, analista di Morgan Stanley – sarà fonte del 20% di crescita dell'ebit. Uno dei gioielli nascosti della multinazionale è infatti il business per la cura degli animali: Perina, acquistata nel 2001 per 10,3 miliardi di dollari, ha il return on capital più alto (oltre il 25%).
Nestlé copre circa un quinto del mercato, e lo stesso fa Mars con i suoi marchi Pedigree e Whiskas. Dietro, con circa il 4% a testa ci sono Hill's (di Colgate-Palmolive) e Iams (di Procter & Gamble), con un volume d'affari di circa 2 miliardi di dollari l'uno. Il business del cibo per animali prospera in netto contrasto con la spenta perfomance degli altri beni di consumo. Una crescita annua del 3-4% - secondo Bernstein Research – e cioè due volte il tasso dei beni per la cura della casa o della persona.

Il cibo per i quattro zampe in Italia
E in Italia, dove le stime di Euromonitor parlano di quasi 7 milioni di cani e 7 milioni e mezzo di gatti ospitati nelle famiglie? D'accordo che - fonte l'International Coffee Organization – abbiamo ridotto i consumi di caffè, calati al livello più basso degli ultimi sei anni. Non andiamo più al bar a consumare la bevanda preferita, ma tagliamo anche sul cibo dei nostri animali? L'ultimo rapporto Assalco-Zoomark 2012 dice di no: il mercato italiano non sta risentendo della recessione. La categoria principale degli alimenti per animali da compagnia, quella per cane e gatto, cresce del 2,1 per cento. L'aumento è superiore alla media europea pari all'1,6% (che calcola Francia, Germania, Olanda, Regno Unito e Spagna). Nel 2011 il giro d'affari in Italia è stato di 1.604 milioni di euro, di cui 870 milioni per gatti e 650 per cani, e oltre la metà delle vendite si è concentrata nel Nord del Paese (53,1%). Gli alimenti per altri animali hanno invece realizzato vendite per 20,8 milioni (-0,7%). La somma dei canali porta così a un complessivo +0,5 per cento.
In Italia, dicono gli esperti, c'è larga richiesta di prodotti di fascia premium e superpremium. Ma riscuotono successo anche i prodotti più economici e in particolare delle Private label presenti nelle Grande distribuzione. La Gdo continua così a incrementare i volumi di vendita rispetto alle catene specializzate, e ad organizzare attività di consulenza e assistenza per la clientela. Alcuni ipermercati hanno realizzato aree specializzate, come Auchan (che ha personalizzato la zona pet food con il brand "Il villaggio degli animali") e Coop. Altri hanno creato delle insegne dedicate, come Zoè (di Simply) e Multicedi (di Sigma). Spin-off per intercettare la domanda crescente: non chiamatelo cibo da cani.

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