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Questo articolo è stato pubblicato il 04 ottobre 2012 alle ore 06:37.

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Sul terreno accidentato dell'Iva illegittima applicata alla tariffa rifiuti cominciano a muoversi anche le Procure della Repubblica, che si aggiungono a giudici costituzionali, Cassazione, tribunali e commissioni tributarie per dirimere una questione che appare ormai chiara sul piano del diritto, ma intricatissima su quello di fatto.
Il primo atto del nuovo filone era avvenuto a Trento, quando però mancavano ancora le prese di posizione definitive della Cassazione e si era risolto in un'archiviazione che aveva riportato la contesa nei tribunali ordinari (la sentenza è attesa a gennaio).

Nelle ultime settimane, però, un nuovo fascicolo d'inchiesta è stato aperto dalla Procura di Rimini, al momento a carico di ignoti, e ipotizza l'abuso d'ufficio per il fatto che Hera ha continuato ad applicare l'Iva sulla tariffa. Il sostituto procuratore ha chiesto alla Guardia di Finanza di indagare sulla partita, che a Rimini e provincia dovrebbe valere intorno ai 50 milioni ma in tutta Italia conta circa un miliardo di euro sparso in 1.200 Comuni (nel 2011 i Comuni che applicano la tariffa sono saliti a 1.340: si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri). L'avvio dell'indagine riminese risale a fine agosto, ma l'esempio sta già producendo i propri effetti: a metà settembre un'associazione locale ha presentato un esposto sullo stesso tema alla Procura di Torino e ulteriori ne potrebbero seguire in altre città.

Quello delle procure è solo l'ultimo filone di un quadro che il passare del tempo rende paradossale. Ad accendere l'indagine romagnola è infatti il dato che Hera, che gestisce il servizio rifiuti, continua ad applicare l'Iva alle bollette della tariffa. Proprio questo comportamento, però, a Venezia è appena stato indicato come doveroso dall'agenzia delle Entrate, seguendo gli ultimi documenti ufficiali sul tema del ministero dell'Economia, che ancora ritengono l'Iva dovuta. Documenti bocciati senza appello dalla Corte di cassazione nel marzo scorso, con la sentenza 3756, ma mai aggiornati.

Proprio qui sta il punto. Da quando la Corte costituzionale, nel luglio del 2009, ha stabilito che la tariffa rifiuti è in realtà un tributo, e quindi non può portare con sé l'Iva perché rappresenterebbe una doppia tassazione, il problema è chiaro. Le famiglie hanno pagato per anni un'Iva illegittima, e in molti casi hanno continuato a doverla pagare anche dopo la sentenza costituzionale per l'incertezza delle indicazioni ufficiali, e in molte sentenze hanno visto scritto nero su bianco il loro diritto al rimborso. Sul punto si sono esercitati tutti gli ambiti della giurisprudenza, con alcune variazioni territoriali: prima sono state le commissioni tributarie, poi le Sezioni Unite della Cassazione hanno dichiarato la competenza della giustizia ordinaria facendo entrare in campo i giudici di pace.

A Trento, però, il giudice di pace si è dichiarato incompetente, e la querelle si è trasferita al tribunale ordinario che dovrebbe pronunciarsi a gennaio. Se il quadro è chiaro, perché la macchina dei rimborsi non parte?
I gestori bloccano le istanze perché l'Iva chiesta dai cittadini è già stata versata all'Erario, e il Fisco ha un problema di copertura finanziaria. Ma non è solo questo: le aziende in passato hanno detratto l'Iva, e quindi occorrerebbe rivedere tutte le vecchie detrazioni di un'imposta "cancellata" ex post. Un rebus intricatissimo, che nemmeno l'ultima tornata di incontri al ministero, giusto in questi giorni, è riuscita a risolvere. Nella confusione, comunque, non arrivano certo risposte favorevoli ai contribuenti: molte città, da Genova a Roma passando per Firenze, hanno riportato nella vecchia Tarsu la struttura della tariffa, Iva compresa, con un rincaro secco del 10% per le aziende che prima la portavano in detrazione.
gianni.trovati@ilsole24ore.com

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